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    “Caro Pd, o cambi o ti estinguerai”: viaggio nei circoli dem di Roma dopo la debacle elettorale

    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 3 Ott. 2022 alle 07:37

    Riccardo Pagani ha 25 anni e studia ingegneria civile. Domenica scorsa ha fatto l’alba ai seggi elettorali per assistere allo spoglio delle schede. E il mattino seguente, alle 9 in punto, era già in piedi davanti alla nuova sede del suo circolo Pd per aprire all’elettricista che doveva attaccare la corrente. Quasi che – dopo la batosta alle urne – il Partito democratico avesse urgente bisogno di qualcuno che riaccendesse la luce anche in senso materiale, non solo metaforico. Riccardo è un giovane militante dem della Balduina, quartiere della classe media di Roma Nord. Quando lo sento al telefono, martedì pomeriggio, è ancora alle prese con i lavori per la nuova sede del circolo: ha affittato un furgone e comprato delle assi di legno per costruire un soppalco all’interno della sezione. «Insieme con i compagni abbiamo finito di dipingere l’altro giorno», racconta.

    «Per chi come me è nato nel 1997 e si sente di centrosinistra, il Pd rappresenta una scelta naturale: quando ero bambino l’alternativa era tra Berlusconi e il Pd…». «Ma adesso – prosegue – serve un cambiamento nel partito. La classe dirigente che ha determinato la sconfitta alle elezioni dovrebbe farsi da parte. E anche Letta… Non basta quello che ha detto: dal segretario mi sarei aspettato una più chiara assunzione di responsabilità». «La campagna elettorale – si sfoga ancora Riccardo – è stata molto debole, il partito ha investito poco, intendo proprio a livello economico. Ho quasi avuto la sensazione che ci si considerasse perdenti già in partenza». E ora che la sconfitta si è materializzata «abbiamo bisogno di fare un congresso sui temi». «Il Pd – argomenta il giovane militante – deve sviluppare una propria identità chiara: spesso in questi anni ha avuto grandi difficoltà nel comprendere da che parte stare. Un partito deve stare da una parte ben precisa. Invece noi troppo spesso siamo stati al governo, anche quando governare ha richiesto compromessi troppo distanti dalle nostre idee». Il leader del futuro? Riccardo conclude amaro: «Sinceramente oggi nel Pd non vedo nessuno che mi emozioni, che mi rappresenti, che mi dia la sensazione di potermi fidare». Bocciatura netta. Ma l’insoddisfazione e la rabbia verso il proprio partito sono stati d’animo più che mai diffusi, fra gli attivisti dem, all’indomani del trionfo elettorale di Giorgia Meloni.

    Il malcontento è palpabile, parlando con chi fa politica “dal basso”, nei circoli Pd di Roma. Tra i compagni di Riccardo alla sezione Balduina c’è Stefano Gasperini, 74 anni: «Da giovane votavo per il Partito Socialista di Nenni, poi sono passato al Pci di Berlinguer, ma la prima tessera l’ho fatta con il Pds nel 1998, quando Bertinotti fece cadere il governo Prodi. Ero incazzato nero». «Quindici anni fa ho partecipato alla confluenza dei Ds nel Pd con un certo travaglio. Mi rendevo conto che poteva essere la strada giusta, ma l’operazione fu condotta male, è stata una fusione a freddo. Dovremmo imparare dalla destra: quelli si odiano ma poi vanno tutti insieme…». I Cinque Stelle? «Non li ho mai sopportati, ma forse l’alleanza andava fatta. Però la colpa della débâcle non è solo di Letta. No, la colpa è di tutta la dirigenza del partito, che non ha capito una beneamata mazza di questa campagna elettorale, come ci hanno chiaramente detto i cittadini».

    Stefano qui si infervora: «Non possiamo essere soltanto il partito dei diritti. Se alla gente non glie se dà da magnà, è inutile! Abbiamo perso completamente il contatto con le fasce deboli. Ma questo viene da lontano, eh: dalla segreteria Renzi, anzi anche da prima, altrimenti Renzi non sarebbe diventato segretario…». «Siamo noi, sul territorio, che abbiamo il polso della situazione, siamo noi che facciamo i banchetti, che ci prendiamo gli sputi o gli abbracci. Ma nel Pd la base non è per niente ascoltata dai vertici».

    Rifondazione

    A pochi chilometri dalla Balduina c’è il circolo Pd Mazzini-Trionfale. Qui Gloria Monaco, 52 anni, impiegata in una società partecipata della Regione Lazio e attivista politica dal 1994, è ancora imbufalita per certi meccanismi distorti della legge elettorale: «Da militante – mi dice – ho avuto serie difficoltà a spiegare all’esterno il fatto che non si potesse scegliere il proprio candidato. E fra parentesi – aggiunge – non ho condiviso la scelta di alcune candidature nel mio partito». Secondo Gloria, «il Pd va rifondato dalla base. Meno correnti, meno personalismi: è questo che allontana le persone dal partito. A pensarci bene, ha allontanato anche me, che prima ero molto più entusiasta. Adesso invece a volte dico tra me e me: “Ma cosa mi impegno a fare? Tanto alla fine decidono sempre loro”. Bisogna ripartire da noi della base, dai nostri valori fondativi, scendere in strada, parlare con il prossimo, ascoltare i problemi della gente». Discorsi già sentiti? «Questa volta è diverso, qua rischiamo l’estinzione del partito».

    Quanto alla sconfitta alle elezioni, continua la militante, «non ho capito il perché di una chiusura così netta al M5S da parte di Letta. Io avrei fatto un grande cartello elettorale, tutti uniti contro il centrodestra». E ora? «Mi piace Elly Schlein, ha le idee chiare». Schlein è la preferita anche di Giulia Cretoni, 32 anni, laureanda in Medicina, anche lei militante del circolo Pd al quartiere Trionfale. «Elly non ha paura di far vedere che è di sinistra, timore che invece ho notato troppo spesso in questi anni nel partito. Il Pd si è spostato troppo al centro». Giulia è iscritta ai dem dal 2009: «Quello del Partito democratico era un progetto ambizioso e che secondo me aveva un senso. Però poi nei fatti il partito unitario non si è mai concretizzato: hanno prevalso le singole istanze delle varie anime interne». Ed è così che «alle ultime elezioni per la prima volta ho avuto un po’ di titubanza al momento del voto. La linea del segretario non mi ha, diciamo, entusiasmato. Troppo pacato, lo avrei voluto vedere più deciso nel portare avanti i nostri temi». Ma adesso «sono felice che siamo all’opposizione: finalmente il Pd potrà interrogarsi su se stesso e ritrovare i suoi valori fondativi, che ultimamente aveva perso perché doveva pensare solo a governare». «Ma – avverte la militate – la tessera quest’anno non l’ho ancora rinnovata: voglio vedere come andrà il congresso».

    Conte o non Conte

    Davide Capasso, 23 anni, studente di giurisprudenza, ha fatto la sua prima tessera – anche lui alla sezione Trionfale – dopo la sconfitta alle politiche del 2018. «In questi giorni – racconta – sono andato su Instagram a scorrere le pagine dei nostri esponenti. Stanno dicendo esattamente le stesse cose che dicevano il giorno dopo la sconfitta di quattro anni e mezzo fa: “Dobbiamo riaprirci, tornare fra la gente, eccetera”. Questo mi fa pensare che a quelle dichiarazioni poi non siano seguiti i fatti». Eppure, rimugina il giovane, «questa volta sui contenuti ci avevamo preso. Il programma era molto migliore di quello del 2018 e siamo anche stati meno timidi… Ma su certi temi, come il salario minimo, siamo arrivati tardi rispetto ad esempio agli altri partiti della sinistra europea. E poi siamo stati penalizzati dal fatto di essere percepiti nella società come il partito che governa sempre. In effetti, negli ultimi undici anni è quasi sempre stato così. Molte persone ci chiedono: “Ma se siete stati al governo finora, perché queste cose non le avete fatte prima?”». «Quanto alle alleanze – osserva Davide – secondo me l’idea di una coalizione alla tedesca, con i Verdi e i liberali di Calenda, era buona. Ma poi sappiamo com’è andata… Conte, invece, no: non c’era proprio il tempo materiale per fare un’alleanza pochi giorni dopo la caduta del governo Draghi».

    La pensa diversamente Leo Peppe, 74 anni, militante del circolo Pd di Ponte Milvio: «La mancata alleanza con i Cinque Stelle è stato un errore macroscopico», sbuffa. «A costo di turarsi il naso, l’accordo andava fatto. Lo imponeva il meccanismo elettorale!». Ex professore di Diritto romano, ora pensionato, Leo viene da una vita nel sindacato: «Ho sempre votato Pci, poi Pds, Ds e ora Pd. Ma la tessera l’ho fatta solo quattro anni fa», racconta. Poi riprende il discorso sulla campagna elettorale: «Ci sono stati diversi errori tattico-strategici. Oltre al discorso sulle alleanze, si è sbagliato a insistere più sui diritti civili che su quelli sociali. Poi, resto convinto che l’Italia sia un Paese di centrodestra, per cui l’argomento fascismo e salvaguardia della democrazia in campagna elettorale non avrebbe dovuto essere il primo punto, ma al massimo il secondo, se non il terzo». Ora, dice il professore, «vorrei che si superasse la stagione dei personalismi e dei rancori. Vorrei che si facesse più politica. Che si stesse con i piedi nella realtà, a partire ad esempio dal problema del caro bollette».

    Passione

    A Testaccio, cuore pulsante della capitale, Matteo, 42 anni, avvocato, parte con un’autocritica: «Alle elezioni potevamo fare meglio tutti. Dare tutta la colpa al segretario è sbagliato. Non siamo stati chiari sul profilo che volevamo come partito e sull’idea di Italia che avevamo in mente». Matteo è tra i fondatori del circolo Pd nel quartiere più simbolico della romanità: «La politica per me è una passione. Sono militante da quando ho 14 anni, era il 1994». Dopo la sconfitta contro Meloni, racconta, «tra noi iscritti c’è fibrillazione, ci si confronta, ci si sfoga: c’è la consapevolezza che non si può andare avanti così. E non basterà cambiare il segretario, qua si tratta di ripensare le radici che ci tengono insieme». «Io – riflette il testaccino – forse scioccamente credo che sia possibile mettere insieme quella parte del Paese che soffre con quella più dinamica e che innova. E penso che Letta, e prima di lui Zingaretti, avevano mostrato una strada. Adesso sta al partito, anche a noi militanti, discutere se quella è la strada giusta».

    Spostandosi a Roma Sud, Fabrizio Mossino, segretario del circolo Pd Portuense, zona popolare, mi racconta un aneddoto: «Era il 2008, il Partito democratico esisteva da un anno. Con una trentina di segretari dei circoli romani, me compreso, andammo in centro, nella sede del partito a via Sant’Andrea delle Fratte. Al segretario Veltroni, che ci ricevette, dicemmo preoccupati una cosa: “Le correnti interne non permettono il rinnovamento del partito”. Lui ci rispose che avevamo ragione. Subito dopo quella riunione partì con il suo braccio destro Walter Verini per la Sardegna, dove si era in piena campagna elettorale per le regionali. Due mesi dopo il Pd perse quelle elezioni e Veltroni si dimise da segretario, anche lui vittima del correntismo». «Io all’epoca avevo 36 anni – conclude Mossino – e oggi, che ne ho 50, mi trovo a risentire gli stessi discorsi di allora…».

    Nel circolo dem di Portuense milita Claudio, 74 anni, «felicemente pensionato» («Ci sono andato prima della Legge Fornero», strizza l’occhio): «Sono iscritto sia al Pd sia ai Radicali Italiani, ma la mia militanza politica è iniziata con i moti del Sessantotto». Il congresso in vista? «Non basta cambiare il segretario», avverte. «Il Pd oggi ha smarrito le ragioni della sua esistenza politica. Ora che le elezioni sono perse, dovrebbe stabilire una strategia per questa legislatura e portarla avanti con iniziative proprie. Senza stare a pensare già adesso a eventuali alleanze future». Possibile? Lia Esposito, 74 anni, commerciante, anche lei ex sessantottina, anche lei militante del circolo dem di Portuense, è scettica: «Non si parla più di “noi”, ma di “io”. Non esiste più lo spirito della comunità». «Detto questo, Letta per me è una persona seria: ha fatto sicuramente degli errori, ma non è che quelli prima di lui abbiano fatto meglio…». Su una cosa, però, Lia non è d’accordo con Letta: «Non doveva lasciare. Come non dovevano lasciare gli altri leader che si sono dimessi in passato. Sa una cosa? Il Pd mi sembra un pullman. Sì, un pullman: l’autista sale a bordo e inizia a guidare, poi arrivano le elezioni e, se si perde, l’autista cambia. È un ciclo che si ripete: vai al voto, perdi e cambi segretario. Per noi militanti è questa la cosa più pesante da subire: si perdono le elezioni e i segretari se ne vanno».

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