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    Travaglio: “Ecco perché i Cinque Stelle mi sono tornati simpatici”

    Marco Travaglio
    Di Giovanni Macchi
    Pubblicato il 30 Mag. 2019 alle 08:41 Aggiornato il 30 Mag. 2019 alle 08:41

    Travaglio Cinque Stelle | L’editoriale del direttore del Fatto

    Marco Travaglio, martedì sera, ha avuto un’illuminazione. La sua fede nel Movimento Cinque Stelle scricchiolava da tempo, messa a dura prova da caso Diciotti, Tap, Ilva, debacle elettorali, subalternità a Salvini e quant’altro.

    Folgorato sulla via di La7, però, il direttore del Fatto Quotidiano ha ritrovato la devozione di un tempo. Il motivo? Lo spiega lui stesso nel suo editoriale odierno.

    “È stato l’altra sera, quando Dimartedì, per imperscrutabili motivi, ha messo in fila Calenda, Letta e Zingaretti, come se il Pd avesse preso il 100% dei voti.  […] Tutti e tre spiegavano cosa bisognerebbe fare: cioè quel che il Pd si era sempre guardato dal fare. In compenso quel che avevano fatto e non avrebbero dovuto fare si dicevano prontissimi a rifarlo. Lì ho capito perché quel diavolo di Floris li aveva invitati: per esibirli perfidamente così come sono, nature; ricordare ai più smemorati perché un anno fa li avevano cacciati a pedate”.

    Questa apparizione ha insomma convinto Travaglio dei meriti da statista di Luigi Di Maio, gli ha rammentato tutte le epocali riforme portate a termine dai Cinque Stelle.

    “[Di Maio] con la sua Armata Brancaleone e i suoi errori, è riuscito in un anno a fare più leggi giuste (e per giunta di sinistra) del Pd in tutta la sua storia. Se anche i 5Stelle scomparissero domattina, avrebbero comunque il merito di aver regalato all’Italia l’anticorruzione, la bloccaprescrizione, il reddito di cittadinanza, il dl Dignità, la riforma del voto di scambio, lo stop al bavaglio sulle intercettazioni e alla svuotacarceri, l’abolizione dei vitalizi; di aver avviato il taglio del numero e degli stipendi dei parlamentari, il referendum propositivo col quorum abbassato, il salario minimo e la sospensione del Tav (salvo ripensamenti suicidi); di non aver rubato né truccato concorsi; di aver cacciato in due minuti il loro unico arrestato per corruzione e messo alla porta un sottosegretario leghista in flagrante conflitto d’interessi”.

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    Di Maio, a parere di Travaglio, deve restare in sella, facendo però pulizia nel Movimento: “Di Maio, dopo il ko, è un pugile suonato. Ma resta il più bravo fra i suoi. Purché si liberi dei lacchè e dei miracolati pronti a tradirlo al primo inciampo. Si circondi di gente valida, cioè critica. E abbandoni le piazze virtuali (tv e sondaggi) per tornare in quelle vere”.

    “Se oggi sarà confermato capo politico dagli iscritti – prosegue Travaglio – nell’imbarazzante plebiscito con un solo candidato, non dovrà scambiarlo per una rivincita sulle urne, come fece Renzi con le primarie interne dopo la débâcle referendaria. Sei milioni di voti persi non si cancellano con qualche migliaio di clic. Ma sono recuperabili. Soprattutto i 4 milioni finiti nell’astensione. Che sono lì in attesa di un segnale chiaro. Possibilmente quello giusto”.

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