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    Il grande bluff di Salvini: ha usato il M5s per aumentare i consensi e tornare al voto

    Matteo Salvini

    Il leader della Lega si è dimostrato un abilissimo stratega: ha dettato la linea fin dalla stesura del contratto di governo, per poi rompere con Mattarella quando ha capito che l'opzione migliore per lui era tornare al voto

    Di Luca Serafini
    Pubblicato il 30 Mag. 2018 alle 17:02 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:18

    “Di Maio vuole riaprire le trattative per il governo? Non siamo al mercato. Noi siamo a disposizione per accompagnare il paese al voto il prima possibile”. Sono le parole che ha pronunciato Matteo Salvini nella mattinata di mercoledì 30 maggio, chiudendo la porta ai tentativi del capo politico del M5s di resuscitare l’esecutivo gialloverde.

    “Non accetterò mai che venga detto no a un ministro del governo italiano”, ha ribadito il leader della Lega nel pomeriggio. Salvini quindi tiene il punto: o Savona o niente.

    Strano, tuttavia, che per lui il nome di un ministro, per quanto di peso, sia sufficiente a far saltare il governo del cambiamento.

    In realtà le dichiarazioni di oggi sembrano confermare un sospetto che in tanti covavano da giorni: Salvini non è mai stato realmente intenzionato a fare un governo con il Movimento Cinque Stelle.

    O meglio, ha tentato dall’inizio di ricavare dalla situazione ogni possibile vantaggio, riuscendoci alla perfezione. L’esecutivo gialloverde poteva anche partire, ma solo se la linea la dettava lui.

    Non a caso, la Lega ha imposto nel contratto di governo una serie di temi a cui il Movimento Cinque Stelle avrebbe fatto tranquillamente a meno, piegando il programma su un’impostazione euroscettica.

    Nella prima bozza c’era la cancellazione del debito con la BCE, nell’ultima i minibot, che il Financial Times aveva definito uno strumento in grado di “spaccare l’euro”. Infine è arrivata l’imposizione di Savona, e l’indisponibilità a trattare sul suo nome.

    Se Di Maio e Mattarella si fossero piegati, bene. Il primo lo ha fatto sui temi, il secondo si è rifiutato di farlo sui nomi. Se però anche uno solo dei due si fosse messo di traverso, tanto meglio, specie se si fosse trattato del presidente della Repubblica.

    Salvo stravolgimenti dell’ultima ora, la Lega potrà andare alle elezioni col vento in poppa, forte di sondaggi che la danno al 27 per cento, a soli due punti percentuali di distanza dai pentastellati.

    Come ha spiegato anche Yanis Varoufakis in un’intervista al The Guardian, Salvini potrà ora presentarsi come “difensore della democrazia”, “vittima dei poteri forti” che non gli hanno consentito di fare quello che in realtà, probabilmente, non aveva nemmeno tanta voglia di fare, ovvero governare.

    Ora davanti al leader della Lega si aprono due possibilità: proseguire nell’alleanza con il Movimento Cinque Stelle, presentandosi insieme alle prossime elezioni, o tornare alla casa madre, quella del centrodestra e di Forza Italia.

    Nel primo caso, questi mesi hanno fatto capire al leader della Lega che può essere lui a menare le danze, se non altro perché è il migliore stratega e perché già in questo primo giro, pur avendo la metà dei voti dei pentastellati, è riuscito nell’impresa di dettare le linee del contratto di governo, il nome del ministro più pesante, fino a condurre i grillini alla rottura col Quirinale e al voto, uno scenario a lui più che gradito.

    Se invece decidesse di presentarsi col centrodestra, Salvini sarebbe ormai il leader indiscusso della coalizione, che potrebbe traghettare oltre il 40 per cento complessivo dei consensi. Anche in questa veste, potrebbe presentarsi al tavolo delle trattative post-voto col coltello dalla parte del manico.

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