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    Il Reddito di cittadinanza sarà tolto agli “occupabili”. Ma i criteri fissati dal Governo non hanno senso

    ANSA

    Si fa presto a dire "occupabili". Anche l'Istat bacchetta l'esecutivo

    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 25 Dic. 2022 alle 07:00

    «Per chi è in grado di lavorare la soluzione non è il Reddito di cittadinanza, ma il lavoro», sostiene Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio e i suoi alleati della Lega e di Forza Italia lo vanno ripetendo da mesi: lo Stato – dicono – deve aiutare solo chi non è nelle condizioni di lavorare; tutti gli altri non hanno diritto ad alcun sussidio, devono semplicemente cercarsi un’occupazione. Facile, no?

    E così nella manovra finanziaria, ispirata da questo vento nuovo anti-“divanisti”, è previsto che, dopo un periodo transitorio di sette mesi (in origine dovevano essere otto), dal primo agosto 2023 il Rdc spetterà solo agli “inoccupabili”, mentre gli altri – cioè i poveri “occupabili” – dovranno arrangiarsi senza l’assegno dello Stato.

    La domanda, a questo punto, è: come si distingue un “occupabile” da un “inoccupabile”? L’esecutivo ha fissato il criterio in maniera tutto sommato chiara: continuerà ad avere diritto al sussidio – e quindi va considerato “inoccupabile” – chi fa parte di nuclei famigliari al cui interno vi siano minorenni, over 59 o persone con disabilità. Tutti gli altri perderanno l’assegno, in quanto “occupabili”.

    Non è necessario essere un esperto giuslavorista né avere un dottorato in statistica per capire che questi requisiti (avere o no in famiglia un minorenne, un anziano o un disabile) nulla hanno a che vedere con la possibilità di trovare un impiego.

    Per fare un esempio, a parità di disponibilità economiche, una famiglia di Milano composta da due genitori ultrasessantenni e un figlio 25enne diplomato continuerà a percepire il Reddito, mentre una coppia di cinquantenni di Scampia con la licenzia media ma senza figli lo perderà.

    Si andranno così a creare categorie di poveri di serie A e di serie B, indipendentemente dalla vicinanza o lontananza con il mercato del lavoro.

    Che quella decisa dal centrodestra sia una classificazione discutibile lo ha osservato anche il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, sentito la scorsa settimana in audizione dalle commissioni Bilancio di Camera e Senato: la stretta sul Rdc, ha sottolineato Blangiardo, «coinvolgerebbe una popolazione che nel 2020 mostrava segnali di reddito più modesti e con caratteristiche relative all’occupazione dipendente che presenta analoghi livelli di criticità».

    Tradotto: la distinzione, così come fatta dal governo, non c’entra nulla con l’essere o meno “occupabile”, né con l’essere più o meno povero.

    Secondo le stime dell’Istat, applicando questi criteri resteranno senza Rdc 846mila persone, vale a dire uno su cinque degli attuali percettori. Si fa presto a dire “occupabili”.

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