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    Iniziamo a condannare l’odio dei “buoni”, o perderemo per sempre il diritto di indignarci. E sarà troppo tardi

    Credit: Guillaume Pinon/NurPhoto
    Di Laura Melissari
    Pubblicato il 7 Gen. 2019 alle 10:34 Aggiornato il 18 Apr. 2019 alle 09:33

    La storia è semplice. Un sindaco emette un’ordinanza anti-cattiveria per punire gli haters. Spuntano fuori suoi tweet in cui dà del coglione a Matteo Salvini. Il ministro dell’Interno coglie la palla al balzo, lo accusa di ipocrisia, e gli dà a sua volta del poveretto. Il tutto condito da una serie spregevole di commenti incattiviti, dai sostenitori di ambo le parti. Ecco riassunto il perfetto ciclo dell’odio.

    Che il sindaco di Luzzara fosse convinto della bontà della sua ordinanza, nessuno lo mette in dubbio. E che Salvini e compagni siano i principali alimentatori dell’odio in questo paese, neanche. Ma a che gioco stiamo giocando? Quando è stato superato il confine? Quando è diventato lecito insultare, gratuitamente o a caro prezzo?

    Nel lontano 2017, sembra passato un secolo, scrivevo un commento: “Cari haters, ci avete davvero stancato“. Avrei voluto usare un’espressione più colorita, ma dato l’argomento ho tenuto un profilo basso.

    Da allora l’odio è stato istituzionalizzato, passando per varie fasi, in quest’ordine: ignorare il fenomeno, minimizzarlo, pensare che fossero altri i problemi del paese reale, votare chi propagandava l’odio, ritrovarsi con un governo che legittima con i suoi strumenti, vedi alla voce decreto sicurezza, questo odio. Fine del ciclo. Almeno per il momento.

    Karl Popper, il filosofo, negli anni ’40 scriveva: “La tolleranza illimitata porta inevitabilmente alla scomparsa della tolleranza. Se noi rivolgiamo tolleranza illimitata anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo pronti a difendere la società dalle offese devastanti dell’intollerante, il tollerante sarà distrutto, e con lui la tolleranza”. Passò alla storia come il “paradosso della tolleranza”. Tolleranti con tutti, ma non con gli intolleranti?

    C’è allora un controsenso in tutto questo? Ha ragione il sindaco paladino dell’anti-cattiveria a dare del coglione a un ministro e a un governo che chiudono porti, alzano muri, e creano insicurezza per sguazzare felici, almeno fino alle prossime europee? Che parole dovremmo rivolgere al vicesindaco di Trieste che butta nel cassonetto, vantandosi e prendendosi gioco, delle coperte di un senzatetto?

    Tornando a Popper, ci sono dei confini che non possono essere superati. O almeno non in questo tempo e a queste latitudini. Oltre quel limite scatta la sanzione. E la sanzione può essere l’intolleranza? Probabilmente.

    Ma il ciclo di odio dentro cui siamo immersi, tanto da non riconoscerlo più e non percepirne a fondo tutta la portata, si alimenta dell’odio dei “cattivi”, ma anche – ahimè – di quello dei “buoni”.

    Qual è la soluzione? Porgere l’altra guancia? Rispondere con i “bacioni” che diffonde a destra e a manca Salvini, facendo buon viso a cattivo gioco? Smettere di indignarci e di usare toni forti per denunciare?

    No. Probabilmente basterebbe fermarsi un attimo e capire che combattere l’odio con l’odio ha già creato tanti troppi problemi, ce lo ha insegnato la storia no? Lo stesso sindaco di cui sopra, commentando le accuse di ipocrisia rivoltegli, ha detto: ecco vedete? Il clima di odio ha contagiato anche me.

    Il Censis pubblicando la 52esima edizione del Rapporto sulla situazione sociale dell’Italia, ci aveva avvertiti. Il sentimento che più caratterizza gli italiani nel 2018, secondo l’istituto di ricerca, è la “cattiveria”.

    Dal documento emerge un paese incattivito, più povero e più anziano, che trova il capro espiatorio dei propri guai negli immigrati. “Il processo strutturale chiave dell’attuale situazione è l’assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive”, si legge.

    Ma non siamo nel giusto di default, non possiamo prenderci il lusso di fare come ci pare, solo perché “militiamo” dalla parte dei buoni. Fermiamoci prima del baratro, prima che il carico di odio sia così pesante da rendere irriconoscibili i buoni dai cattivi.

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