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    Achille Occhetto a TPI: “Europeismo non significa atlantismo. L’Ue tratti con Putin”

    “L’Ue non è abbastanza autonoma dalla Nato. Con Putin dovrebbe fare di più. E riaprire la trattativa. Ma da pacifista dico che è giusto armare gli ucraini. I rubli di Mosca ai partiti esteri? Grave. Il Pci era finanziato dall’Urss ma anche la Dc prendeva soldi dagli Usa”. Intervista all'ultimo segretario del Partito Comunista Italiano

    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 15 Set. 2022 alle 09:57 Aggiornato il 15 Set. 2022 alle 10:20

    Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci, per chi vota il 25 settembre?
    «Voterò per l’alleanza di centrosinistra. Ma ci tengo a spiegare perché».

    Prego.
    «Come ho scritto nel mio ultimo libro “Perché non basta dirsi democratici” (Guerini e Associati, 2022) io sono molto critico con l’attuale sinistra. Tuttavia alle elezioni si vota per quel che c’è. Bisogna valutare qual è il tema centrale di questo voto».

    E qual è?
    «Il tema è se la destra deve andare oppure no al governo. Io voto contro questa prospettiva».

    Non è un po’ triste votare contro qualcosa anziché per?
    «Guardi, in Italia si è sempre votato contro. Per quarant’anni si è votato contro il pericolo comunista, e la destra vota contro la sinistra a prescindere dai programmi. Il voto contro può essere anche un voto per».

    Non mi ha detto se vota per il Pd o per una lista collegata.
    «Non glielo dico. Per un motivo molto semplice: in questo momento il tema fondamentale è spingere a votare gli incerti, gli astensionisti, la sinistra critica. A loro dico una cosa sola: votate per la coalizione. Qualsiasi partito della coalizione va bene. L’obiettivo è impedire il governo della destra».

    Una vittoria della destra rappresenterebbe, come alcuni sostengono, un pericolo per la democrazia?
    «Meloni dovrebbe aggiungere al suo mantra famoso “Sono Giorgia, sono una madre, eccetera” anche “sono antifascista”. Detto questo, non esiste il rischio che torni il fascismo di un secolo fa. Il vero pericolo è un altro».

    Quale?
    «C’è un’ondata reazionaria che si aggira per l’Europa. Diversa dal fascismo, ma diversamente pericolosa. Si tratta della cosiddetta democrazia illiberale, dove lo scheletro formale della democrazia rimane intatto, ma viene svuotato dall’interno».

    Faccia un esempio.
    «Alle recenti elezioni in Svezia ha vinto il partito di Jimmy Akesson, che ha radici neonaziste. Ebbene, Meloni si è congratulata per il suo successo elettorale e si è augurata che sia un modello per il resto d’Europa».

    Com’è possibile che il partito erede dell’Msi sia oggi il più votato d’Italia?
    «Tutto nasce nel 1994, quando si è aperta non la seconda repubblica ma la fase populista: cioè un permanente voto di protesta che ogni volta individua il “nuovo”. Allora era Berlusconi, poi sono stati i grillini, poi ancora Renzi. Quello è un elettorato friabile».

    Torniamo a sinistra. Letta ha fatto bene a scaricare il M5S?
    «Io non l’ho vista così. Letta ha fatto di tutto per mettere in piedi un’alleanza sia con la parte destra che con quella sinistra del centrosinistra. Quando i Cinque Stelle hanno rotto su un tema sensibile come quello della guerra, lui si è trovato spiazzato. Del resto, Conte, del tutto legittimamente, ha fatto un calcolo: “Se esco dal governo, prendo più voti”. E come stiamo vedendo è un calcolo che gli sta anche dando dei risultati. Letta si è trovato davanti al fatto compiuto».

    Che giudizio dà del governo Draghi?
    «È stato un governo di necessità. Ha svolto alcune funzioni positive di emergenza che nessun altro in quel momento avrebbe potuto affrontare. Quello che non ha funzionato, e che spero non capiti mai più, è l’alleanza fra destra e sinistra».

    Starà seguendo la campagna elettorale. Avrà letto delle notizie provenienti dagli Usa: Mosca ha finanziato per anni dei partiti esteri.
    «Devono venir fuori i nomi e le circostanze. Ma non mi sono sorpreso: è del tutto evidente che Putin ha una funzione di punta in questa ondata reazionaria che sta attraversando il mondo e l’Europa».

    Resta un fatto grave però, no?
    «Rilevantissimo. Sapere che un partito è pagato per svolgere una funzione di disturbo, in un momento così drammatico nella vita politica internazionale, deve fare riflettere».

    Anche il Pci però riceveva finanziamenti da Mosca…
    «Quella situazione era diversa. I finanziamenti finirono nel corso degli anni Settanta, prima che ci fossero le leggi sul finanziamento pubblico ai partiti. E soprattutto quella era una fase molto tesa dello scontro fra Est e Ovest: anche i partiti anticomunisti, dalla Dc in giù, prendevano soldi dagli Stati Uniti. Anzi, loro prendevano forse anche qualcosa di più. L’Ambasciata americana in Italia svolgeva un ruolo diretto. Lo so per certo».

    Racconti.
    «Nel 1989 andai negli Stati Uniti. Fu il primo viaggio di un segretario comunista in America. A margine di una conferenza, durante una cena, ero seduto a fianco di un alto dirigente della Cia, che mi disse: “Onorevole, siamo allo stesso tavolo, eppure io ho lavorato per tanti anni in Italia per distruggere il suo partito”. Testuale».

    Che differenza c’è tra il regime sovietico e la Russia autoritaria di Putin?
    «L’Unione Sovietica è nata con una rivoluzione positiva contro lo zarismo e sulla base di ideali che io ho condiviso. A partire da Stalin si è trasformata in un capitalismo di Stato retto da un regime autoritario. Ma era una realtà diversa dalla Russia di oggi, dove dominano degli oligarchi e in cui vige il libero mercato. Vedo però una continuità con l’Urss nella “cultura del Kgb” e nelle aspirazioni neo-imperiali che Putin ha ereditato da Stalin. Non a caso Putin si è sempre mostrato nettamente contrario sia a Lenin sia a Gorbaciov».

    Ha citato Gorbaciov, morto poche settimane fa…
    «Aveva capito che la realtà sovietica andava cambiata e voleva costruire un socialismo democratico. Ma in questo non fu appoggiato dall’Occidente, che preferì puntare su Eltsin e su coloro che volevano andare verso una società imperiale di tipo capitalistico».

    Lei lo conobbe.
    «Gorbaciov? Sì, a differenza degli altri dirigenti sovietici era un uomo estremamente aperto, vivace, schietto. Parlava come un leader politico occidentale. Una volta mi disse: “Caro compagno, qui tutto è complesso, ho contro il partito e le vecchie strutture del regime, noi facciamo una gara contro il tempo ma non so se ce la faremo”».

    Veniamo alla guerra in Ucraina. È favorevole all’invio di armi?
    «Io sono per il disarmo generale, una politica che peraltro era stata iniziata proprio da Gorbaciov con Reagan ma che poi è stata smentita sia dall’Occidente sia dall’Est, che hanno intrapreso il riarmo. Detto questo, dovremmo pensare a disarmare l’aggressore, non l’aggredito. È da lì che il pacifismo dovrebbe partire».

    Cioè da dove?
    «Dal chiedere il ritiro delle truppe russe. Ai tempi della guerra in Vietnam chiedevamo agli americani di tornare a casa. Gridavamo “Johnson go home”. Quello era pacifismo!».

    Pensa che una parte del mondo pacifista sia ostaggio dell’antiamericanismo?
    «Direi che non capisce il mondo di oggi. Pensa che ci sia solo l’imperialismo americano, e non vede l’imperialismo russo. Questa doppia sensibilità è sbagliata. Io con lo stesso spirito sono stato contro la guerra in Vietnam, contro quella in Iraq e contro questa in Ucraina».

    In questi giorni stiamo assistendo a una potente controffensiva ucraina. Pensa che Kiev possa davvero vincere la guerra?
    «La cosa fondamentale è riaprire la trattativa, ma Putin non ne ha nessuna intenzione. Poi a mio avviso l’Occidente dovrebbe fare la mossa del cavallo».

    Spieghi.
    «Putin vuole cambiare le regole dell’ordine mondiale. Allora bisognerebbe dirgli: va bene, cambiamole, ma non sulla punta delle baionette, facciamo una nuova Helsinki, una conferenza internazionale in cui si riaffronta il problema della sicurezza comune».

    E chi dovrebbe prendere le mosse?
    «L’Europa. Che dovrebbe sganciare il concetto di europeismo da quello di atlantismo. Io sono europeista, ci dovrebbe essere un’autonomia strategica dell’Europa».

    Oggi non la vede?
    «No, non la vedo. L’Europa dovrebbe porsi il problema di cambiare la visione del mondo, che non è più quella della Guerra Fredda né quella dell’unipolarismo statunitense. Noi oggi abbiamo il multipolarismo e quindi è necessario ripensare complessivamente l’ordine mondiale. L’Europa dovrebbe dire agli americani, ai russi e ai cinesi che è giunto il momento di affrontare il tema della sicurezza comune».

    Dica la verità, a vedere com’è ridotta oggi la sinistra, si è pentito della svolta della Bolognina?
    «Macché! Quello che vediamo oggi non ha niente a che fare con quella svolta. Credo di essere stato il primo in Italia a capire che stavano cambiando tutti i parametri della politica mondiale. Con la svolta volevo far uscire la sinistra dalle rovine del comunismo, ma ho trovato un’opposizione. Si è preferita la strada dell’appeasement, degli inciuci, dei compromessi. Una strada che era nel dna di una parte del Pci già prima della svolta».

    Qualcuno di quel Pci è ancora sulla scena?
    «Non con ruoli di direzione. Anche perché con tutti gli errori che hanno fatto hanno permesso l’Opa sul partito di Renzi».

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