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    Emergenza Italia, dalla pandemia al Pnrr: il nuovo Capo dello Stato avrà il compito di tenere unito il Paese

    Di Ilaria Proietti
    Pubblicato il 27 Gen. 2022 alle 19:20 Aggiornato il 28 Gen. 2022 alle 11:21

    Lo spread è in altalena e vabbè. In compenso la Borsa palpita, causa venti di guerra Russia-Ucraina, mentre la pandemia  continua a presentare inesorabile il conto tragico dei morti: tra un cosciotto di maiale, un trancio di spada e uno slalom tra guantiere di supplì al telefono, alla buvette di Montecitorio ci si consola e soprattutto ci si interroga sul dopo. Nel menù dell’inquilino del Colle un lungo elenco di pietanze indigeste, dall’emergenza Coronavirus a quella economica e sociale, agli oltre 40 miliardi da agguantare nel 2022 a patto di onorare un numero di impegni doppio rispetto a quelli concordati per il 2021 con l’Europa con cui c‘è pure da rinegoziare il patto di stabilità. Mentre l’Italia si trova alle prese con una crisi istituzionale senza pari che ha ormai squassato fin nelle fondamenta i tre poteri dello Stato. Un quadro da far tremare i polsi ai Corazzieri ma soprattutto al nuovo inquilino del Quirinale che è garante della Costituzione.

    Lunga lista

    Già nelle prossime settimane va deciso per esempio che fare della gestione della pandemia per mettere in sicurezza la campagna vaccinale ma prevedendo anche il ritorno all’ordinario. Il che vuol dire una transizione di ruoli e compiti fin qui affidati alla struttura del commissario Figliuolo e soprattutto la fine della legislazione d’emergenza in campo sanitario ed economico in cui a farla da padrone è stato Palazzo Chigi. E segnatamente il presidente del consiglio Mario Draghi chiamato dal Quirinale alla guida di un governo di unità nazionale per traghettare l’Italia fuori dalle palude anche a costo di decreti a raffica da votare a scatola chiusa e a suon di voti di fiducia che hanno annichilito il ruolo dei due rami del Parlamento e sbilanciato il rapporto tra potere esecutivo e potere legislativo che va ricalibrato anche perché non tiene più come dimostrano i dossier che languono, a partire dalla questione giustizia.

    Ad aprile il nuovo presidente della Repubblica che è anche presidente del Consiglio Superiore della magistratura dovrà indire le elezioni da tenersi a luglio per il rinnovo dei componenti togati del Csm che scadono a settembre. Ma manca ancora all’appello la riforma Cartabia, vittima di ritardi che allo stato impediscono di varare una legge elettorale che sappia sradicare accordi e prassi come quelli rivelati ormai già tre anni fa al deflagrare del Palamaragate.

    Un orrido spaccato a cui ha fatto da corollario la caduta verticale della immagine della magistratura e una certa perdita di credibilità e autorevolezza da parte di Palazzo dei Marescialli che si è visto impugnare persino le nomine dei vertici dei massimi uffici giudiziari italiani da ultimo quelli della Cassazione per tacere della Procura di Roma al centro della combine dell’hotel Champagne chez Luca Palamara, cinque togati in carica del Csm (poi costretti a dimettersi) e due deputati renziani Luca Lotti, a processo nella Capitale e Cosimo Ferri già sottosegretario alla giustizia e potente capo di una delle correnti più influenti della magistratura.

    Un film a tinte fosche: la questione morale, le porte girevoli tra politica e magistratura, il correntismo nutrito a suon di interessi trasversali e inconfessabili. Un grande scandalo che ha partorito alcune inchieste mentre il dibattito per arrivare davvero a una radicale ristrutturazione del sistema resta sterile come pure irrisolta resta la questione dell’equilibrio che serve tra i poteri di nomina che competono al Consiglio superiore della magistratura  e quello esercitato dal Consiglio di Stato (massimo vertice della giustizia amministrativa) che sempre più frequentemente ci mette bocca impallinandone le decisioni nel tentativo di mettere un freno a una discrezionalità che diventa  illegittimità…
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