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    I nomi dei partiti sono lo specchio della crisi della politica

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 25 Giu. 2022 alle 15:21 Aggiornato il 14 Nov. 2023 alle 15:23

    Il valore di un nome non è dato tanto dal suo significato letterale, quanto da quello che gli viene attribuito dalle persone nell’uso comune. Non sappiamo che significato attribuiremo col passare del tempo a “Insieme per il futuro”, nome scelto dal gruppo di parlamentari che ha seguito Luigi Di Maio fuori dal Movimento Cinque Stelle, ma sappiamo bene che in italiano è un buon proposito in cui chiunque si può riconoscere ma che non caratterizza in alcun modo la nuova iniziativa politica. Non è un caso che il giornalista e studioso di simboli e contrassegni elettorali Gabriele Maestri abbia rilevato che il nome “Insieme per il futuro” è già stato usato ben 50 volte da numerose liste civiche solamente negli ultimi quattro anni.

    Nomi come quello del nuovo gruppo possono infatti adattarsi senza alcun problema a qualsiasi tipo di soggetto politico lungo tutto l’arco parlamentare, ma di questo non si può dare una colpa particolare a Di Maio e compagnia: è una tendenza che va avanti da molti anni, che racconta di una politica sempre meno identitaria, sempre meno legata alle ideologie e sempre più alla popolarità del leader di turno. Se andiamo a vedere i vari partiti sorti solo durante la legislatura corrente, vediamo che la situazione non cambia poi molto.

    Dalle scorse politiche a oggi è nata ad esempio Italia Viva: un messaggio, quello nel nome, cui difficilmente si può essere contrari, ma che difficilmente racconta le idee di questa forza. Solo sapendo che è espressione di Matteo Renzi e del suo “giglio magico” abbiamo modo di comprenderne il pensiero. Discorso simile per Cambiamo!, formazione nata nel 2019 per mano di Giovanni Toti, ed entrata poi in Coraggio Italia: due nomi che esprimono concetti che vanno bene per qualsiasi schieramento politico. Il gruppo di ex pentastellati Alternativa se non altro ci fa capire che rappresenta una scelta diversa dal mainstream del momento, ma se vogliamo sapere in cosa si manifesta questa differenza, allora il nome non basta. Riferimento allo storico Partito d’Azione a parte, anche il partito di Calenda, Azione, racconta poco del suo programma: “agire” dovrebbe essere una conditio sine qua non per un progetto politico. Sicuramente chiaro è invece Gianluigi Paragone col suo Italexit, che rappresenta un’eccezione in una marea di nomi che raccontano tante buone intenzioni ma che lasciano la sostanza al carisma dei leader e dei componenti.

    Nella Prima Repubblica, tuttavia, i partiti prescindevano dai loro leader e avevano un nome e un’idea che ben sapevano definire il progetto politico che volevano portare avanti per il Paese: i segretari cambiavano, ma gli ideali restavano quelli. Oggi, venuto meno questo sistema, i partiti sono sempre più dipendenti dalla popolarità del loro leader, nel bene e nel male, rendendo il nome paradossalmente un fatto secondario, una scatola vuota che si riempie o si svuota in base alle tendenze del momento.

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