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    Il PD non faccia come Mandrake: al congresso serve chiarezza

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 12 Nov. 2022 alle 21:07 Aggiornato il 29 Lug. 2023 alle 21:09

    C’è una memorabile scena del film Febbre da cavallo, pellicola di culto per qualsiasi romano, in cui Gigi Proietti, nei panni dello scommettitore di cavalli Mandrake, per camuffare una défaillance intima agli occhi della compagna Gabriella/Katherine Spaak inizia una lunga disquisizione sull’aumento del prezzo delle uova, su come tale questione sia divenuta un problema di massa che rischia di portare alla guerra atomica. Tuttavia, l’arte oratoria di Mandrake non riesce a nascondere il problema di fondo agli occhi di Gabriella, che perde le staffe.

    Per quanto la scena sia entrata nella memoria di tanti romani e non solo, ciò che fa Mandrake non va preso ad esempio. Non sicuramente dal Partito Democratico, che oggi si appresta a una fase di apertura e confronto dopo una bruciante sconfitta e deve cercare in primis di capire chi è e dove vuole andare. Ma cosa c’entra uno squattrinato indossatore col vizio del gioco dei cavalli come Bruno Fioretti alias Mandrake con un partito che da ormai 15 anni è il punto di riferimento del centrosinistra italiano?

    Il punto è che già nel 2018 il PD uscì sgangherato dalle elezioni. Negli anni è riuscito a ottenere risultati positivi in alcune tornate intermedie e a mostrare al tempo stesso molti limiti. E’ stato al governo dopo il ribaltone del Papeete, ha subito scissioni, e poi nel 2022 è arrivato nuovamente al voto mostrando tutta una serie di limiti perfettamente compatibili con quelli già mostrati quattro anni prima. Primo tra tutti l’aver messo in campo una formula poco riconoscibile.

    Se in questi anni il PD non ha voluto affrontare in modo determinante i propri problemi, è legittimo temere che anche questa volta riesca a girare intorno alla questione ma non la tocchi, senza comprendere e formulare una strategia che sappia far convivere l’elettorato attuale con le classi più deboli e il ceto medio impoverito che sembrano fuggire a gambe levate dal campo dei Dem. Il rischio reale è che il congresso si tramuti solo in uno scontro tra candidature, che possono chiamarsi Bonaccini e Schlein o in qualsiasi altro modo e rischierebbero di essere sbattute ai media solo come una scelta se allearsi con il Terzo Polo o con i Cinque Stelle, quando il PD in primis dovrebbe pensare a sé e a ottenere consenso per quello che è, poi pensare alle alleanze.

    Quindi, sarebbe bello che quello del PD sia un congresso vero, e che “costituente” o “di apertura” non siano parole buttate là tanto per allungare il brodo. Perché se deve essere una discussione, non può essere una chiacchiera come quella di Mandrake sulle uova: gli elettori, come Gabriella in Febbre da Cavallo, se ne accorgerebbero. E agirebbero di conseguenza.

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