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    L’impegno di Draghi per i più svantaggiati riguarda donne e giovani. Ma non i migranti

    Nel suo discorso programmatico il nuovo premier ha dimostrato un'attenzione inedita verso le categorie più svantaggiate. E una visione quasi rivoluzionaria del futuro. Ma sui migranti si è mostrato allineato alle politiche della "Fortezza Europa"

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 17 Feb. 2021 alle 20:33 Aggiornato il 18 Feb. 2021 alle 01:09

    L’impegno di Draghi per i più svantaggiati riguarda donne e giovani. Ma non i migranti

    Nel discorso programmatico con cui si è presentato per la prima volta alle camere Mario Draghi ha messo al centro le categorie più svantaggiate dalla pandemia, vittime di un sistema economico ancora troppo diseguale. In cinquanta minuti di intervento il premier ha più volte posto l’accento sulla parità di genere, sulle donne che hanno perso il lavoro nel 2020, sulle differenze salariali e sulla scelta tra famiglia e carriera che troppo spesso sono costrette a fare.

    In un momento in cui il tema dell’uguaglianza di genere è tornato al centro del dibattito politico Draghi ha chiarito che la vera parità “non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi”.

    La priorità del “governo del Paese” di Draghi saranno poi i giovani: gli studenti che nell’anno del virus non hanno potuto accedere alla didattica a distanza – circa la metà del totale -, quelli a cui non sono stati rinnovati i “contratti a tempo” e quelli che sono costretti a emigrare per trovare possibilità altrove, privando il Paese di risorse.

    In questo senso il suo intervento è risultato di altissimo livello, visionario, privo di retorica ma concreto, con un’attenzione e un’enfasi inedita sulle nuove generazioni a cui “lasciare il Paese” e lo stesso emiciclo da cui ha pronunciato il suo discorso. Eppure, nella breve parte dedicata all’immigrazione, il nuovo primo ministro ha mostrato di non essere altrettanto visionario.

    Se le parole del premier sono state quasi rivoluzionarie su temi cruciali per il nostro futuro quali appunto quello della parità di genere, dell’occupazione giovanile o dell’ambiente, sulla migrazione Draghi ha mostrato di essere perfettamente allineato alle politiche della “Fortezza Europa“, che vede il rafforzamento del sistema per i rimpatri tra le priorità del nuovo “Patto dell’Unione Europea su migrazione e asilo”.

    Un patto già duramente criticato dalla società civile europea e dalle associazioni che si occupano di accoglienza. Draghi ha annunciato che nel negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo “cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati”.

    Ma la visione dicotomica dei migranti come “autentici rifugiati” oppure come “clandestini da espellere” è uno degli elementi del patto sulla migrazione e asilo dell’Unione Europea che più è stato criticato dai gruppi di riflessione e dalle organizzazioni della società civile chiamate ad esprimersi nelle varie tavole rotonde europee, come quella organizzata a novembre scorso dal Comitato economico e sociale europeo (Cese).

    I membri del gruppo di studio del Cese sull’iniziativa si sono rammaricati che la maggior parte delle proposte contenute nel nuovo patto sia dedicata alla gestione delle frontiere esterne, e che non venga invece prestata attenzione ai canali regolari di immigrazione, a percorsi sicuri per l’asilo o all’inclusione e all’integrazione dei cittadini di paesi terzi nell’Ue.

    Ostinarsi a distinguere tra chi ha diritto a migrare da chi invece è “irregolare” riflette un approccio ancora drammaticamente chiuso e miope verso un fenomeno inarrestabile, complesso e dinamico, che andrebbe compreso e governato e non ridotto a meccanismi di classificazione.

    Ma non c’era da aspettarsi troppo di diverso in un momento in cui l’Unione Europea di cui Draghi è uno dei maggiori sostenitori è la stessa che sui migranti resta ferma in questa dicotomia, e che proprio con l’obiettivo di distinguere i migranti “economici” dagli aventi diritto ha creato negli anni quei centri di identificazione e smistamento (i cosiddetti hotspot) che si sono rivelati delle prigioni a cielo aperto, in cui le persone si trovano in un limbo perenne, nell’impossibilità di muoversi e guardare al futuro con fiducia proprio perché non ancora “identificate”.

    Ma per immaginare un futuro migliore che rispetti l’ambiente, dia a giovani e donne la possibilità di sognare proprio a partire dagli insegnamenti appresi durante la pandemia non si può prescindere da una visione più ampia e integrata del fenomeno, anche perché nel pieno dell’emergenza Coronavirus si è visto come gli stranieri irregolari o “non dichiarati” abbiano svolto mansioni essenziali in prima linea nella lotta al virus.

    Nel Dossier Statistico Immigrazione 2020, realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in partenariato con il Centro Studi Confronti, è emerso che in Italia oltre il 30 per cento di immigrati in età lavorativa sono classificati come key workers (dato che sale sopra il 40 per cento in Paesi come Francia e Danimarca), ovvero impiegati in servizi essenziali (sanità, assistenza, pulizie ecc.) fondamentali nel contesto della pandemia stessa.

    Proprio in quest’ottica il Decreto Rilancio del maggio 2020 aveva previsto la sanatoria per gli immigrati attivi nei settori dell’assistenza, dal lavoro domestico all’agricoltura. Ma dei 610mila lavoratori stranieri irregolari sono state presentate 207mila domande, in buona parte perché la presentazione era dipendente dalla volontà del datore di lavoro.

    E intanto i lavoratori irregolari, sebbene impiegati in settori essenziali come la cura dei familiari e l’approvvigionamento alimentare del Paese, sono stati tra le categorie più colpite dall’emergenza sanitaria insieme alle donne e ai giovani. Un saggio sul lavoro domestico contenuto nel dossier statistico evidenzia come sono stati 13mila i posti di lavoro persi in questo settore, che totalizza 850mila lavoratori, in massima parte immigrati. Ma nessuno tra i governanti ha speso una parola per loro.

    Draghi oggi ha fatto riferimento ai “momenti più difficili nella nostra storia“, in cui “l’espressione più alta e nobile della politica si è tradotta in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili. Perché prima di ogni nostra appartenenza, viene il dovere della cittadinanza”.

    Ebbene, in un momento difficile ma dinamico come questo, in cui si apre la possibilità di pensare a modelli inediti di società, la più “inimmaginabile” delle visioni sarebbe quella di un’Europa veramente accogliente, in cui anche ai migranti venga riconosciuto “il vibrante desiderio di rinascere”, in cui la presenza degli stranieri sia finalmente accettata non solo come un dato di fatto ma come una risorsa preziosa per arricchire il nostro il futuro.

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