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    Giuseppe Conte a TPI: “Il Pd stava con noi solo per convenienza. Meglio soli che male accompagnati”

    Il leader M5S Giuseppe Conte

    "Con Draghi i ministri erano diventati dei passacarte, che ricevevano testi normativi in Consiglio dei ministri e li approvavano, addirittura, qualche volta, anche con delle norme in bianco". A TPI parla il leader del M5S Giuseppe Conte

    Di Giulio Gambino
    Pubblicato il 28 Lug. 2022 alle 12:00 Aggiornato il 18 Ago. 2022 alle 13:31

    Giuseppe Conte, partiamo da qui: i dirigenti del Pd dicono che lei è la causa della rottura dell’alleanza giallo-rossa. È vero?
    Guardi, sarò franco: io non ho cercato questa situazione, non l’ho provocata. Mi assumo però tutte le responsabilità del fatto che l’agenda che noi dobbiamo portare avanti deve essere un’agenda sociale ed ecologica. E non abbiamo ricevuto risposte da nessuno, ma anzi abbiamo riscontrato un’indifferenza persino del Pd.

    Si è chiesto come mai solo oggi alcuni chiedano di includere i 5s nel campo largo, per scongiurare la vittoria delle destre?
    Più che la larghezza del campo è importante la forza e la coerenza del programma. E la sua praticabilità. Non chiederò mai un voto ai cittadini per gestire il potere. Oggi non pare possibile realizzare alcun tipo di programma con personalità litigiose che non riescono a mettersi d’accordo su nulla. Da Calenda a Brunetta, da Renzi a Di Maio.

    Mi dica la verità, dal suo punto di vista: è irrecuperabile la situazione con i dem?
    Un dialogo col Pd non lo escludiamo. Ci saranno le premesse solo se il Pd vorrà schierarsi a favore dei più deboli, del lavoro, dei più giovani, delle donne.

    Conte, lei in sostanza dice: meglio da soli che male accompagnati. Ma la destra può vincere in modo schiacciante e mettere in atto un processo che può cambiare la Costituzione. Come pensa di disinnescare questa bomba?
    Guardi, questo rischio non mi lascia affatto indifferente. Ma le politiche di destra vanno contrastate con politiche più efficaci e adeguate. Non opponendo una democrazia ingessata in cui viene impedita aprioristicamente l’alternanza.

    Giuseppe Conte in questi giorni ha fatto il bagno nel mare del Gargano. È tornato a casa dopo la crisi che ha innescato la fine del Governo Draghi. È stanco. Ma si è ritemprato – “spiritualmente e fisicamente” – dopo 72 ore in Puglia prima di dare inizio alla campagna elettorale dei prossimi due mesi in vista del voto del 25 settembre. Lo abbiamo intervistato e, tra le altre cose, ha annunciato per la prima volta tre misure del suo nuovo programma politico, rivolte a giovani, uomini e donne sul posto di lavoro, e a chi oggi fa fatica ad arrivare a fine mese. Sulle alleanze chiede conto al Pd di Letta, di Gualtieri, di Bettini che fine hanno fatto i convincimenti con cui hanno sposato l’esperienza di governo del Conte 2. E, infine, lancia un appello: non fatevi ingannare sul voto utile, è in atto una mistificazione, un inganno – sostiene l’ex premier – oggi la sfida non è più a due, ma a tre. Noi siamo – conclude Conte – la terza gamba.

    Com’era il suo rapporto con Letta? Cosa non ha funzionato a un certo punto…?
    Il Pd è un partito molto strutturato. Quello che non ha funzionato è la diagnosi della gravità della situazione che sta attraversando il Paese e la necessità di reagire. Proprio su questo si è prodotta una progressiva divergenza di vedute. Io ho sempre rispettato il prestigio del premier, ma ho anche ritenuto che per risolvere i problemi del Paese il prestigio di una singola persona non sia sufficiente. Mentre invece ho visto che il Pd si è affidato fideisticamente alla presunta agenda Draghi che però, almeno a noi, non è stata resa nota e che quindi non abbiamo potuto discutere.

    Ma scusi, quindi se Letta la richiama e le dice: “Giuseppe, ripensaci”, lei cosa fa?
    Al momento non mi sembra esistano queste condizioni.

    Va bene Letta, ma con Zingaretti avevate un’alleanza di fatto che è durata almeno due anni. Cosa ha fatto sì che si frantumasse questo patto?
    Con il Pd c’è stata un’esperienza concreta – il Conte 2 – che ha prodotto frutti positivi per il Paese, giudicata positivamente anche all’estero. Però, vede, quell’esperienza ha messo al centro la transizione ecologica, ha varato diverse misure nel segno dell’inclusione sociale, non lasciando indietro i più vulnerabili. Il Pd sembra aver accantonato quella esperienza rispetto a un indirizzo politico economico di segno diverso che Draghi ha deciso di perseguire.

    Intende dire che questa crisi nei vostri rapporti è iniziata ben prima della fine del Governo Draghi?
    Certamente sì. Quello che ha creato anche una difficoltà di dialogo interno è che il Pd non si è dimostrato, almeno in alcuni suoi componenti, convinto di poter difendere quel percorso e quelle misure: quello che io chiamo un’agenda sociale ed ecologica. C’è qualcosa di molto profondo su cui interrogarsi.

    Ad esempio, cosa?
    Beh tanto per dire una cosa: quella strada il Pd l’aveva abbracciata per opportunità del momento o per vera convinzione?

    Lei che idea si è fatto?
    Il Pd sulla transizione ecologica come la pensa veramente? Perché se dopo aver condiviso il mio progetto di Green Deal, se dopo avere con i suoi ministri – lo stesso Gualtieri – sbandierato di essere il Paese che più ha sostenuto in linea con la von der Leyen la transizione ecologica a livello europeo, e poi appena cambia il quadro politico l’ex ministro Gualtieri cancella tutto quello che ha detto e dichiara di voler fare un inceneritore, oppure si rendono disponibili di fare nuove trivellazioni nei nostri fondali marini, mi fa pensare che quei principi ecologici e dell’economia circolare erano stati solo occasionalmente sposati, ma non convintamente. Un omaggio alla moda del momento.

    Non crede che questa mancata fiducia nel Governo Draghi sarebbe dovuta venire meno ben prima dello scorso luglio?
    Avremmo anticipato la crisi e forse questo sì che sarebbe stato un male, soprattutto se fosse intervenuta nella fase iniziale del conflitto ucraino. La crisi di oggi invece avviene solo pochi mesi prima della fine naturale della legislatura. Il quadro è grave ma non dobbiamo prendere in giro gli italiani: votare ora o a febbraio-marzo non cambia molto, avremmo comunque avuto a che fare con l’emergenza energetica, una guerra ancora in corso, la pandemia e un Pnrr incompleto.

    Che giudizio politico dà al premier Draghi per la sua esperienza di governo?
    Ha fatto alcune cose buone, ma ci ha lasciato delusi su molti fronti. E sicuramente sul fronte internazionale ed europeo ci saremmo aspettati maggiore coraggio e determinazione nel proporre e ottenere una strategia comune per quanto riguarda la crisi energetica e anche per quanto riguarda la politica estera, in relazione alla guerra in Ucraina e alla corsa al riarmo.

    Con Draghi vi siete parlati spesso prima della crisi che ha portato alla fine di questo governo?
    Con Draghi ho sempre avuto un confronto rispettoso dei ruoli e molto sincero. Non nascondendo mai le difficoltà del disagio politico che il Movimento stava accumulando per una serie di misure che trovavamo insufficienti. E anche perché le nostre conquiste venivano smantellate.

    Crede che Draghi si fosse stufato e volesse solo andarsene, e abbia quindi cercato un pretesto, oppure no?
    Guardi, le dico una cosa che credo di non aver mai detto pubblicamente prima d’ora: ho rappresentato più volte al presidente della Repubblica sia a Draghi stesso, prima ancora di questa ultima crisi, che non era possibile continuare senza un confronto con le forze politiche di fronte a misure importanti. Non c’è mai stato un tavolo di confronto e addirittura le cabine di regia con i ministri capi delegazione sono via via completamente sparite. Ho spiegato a Draghi e informato Mattarella che era impossibile condividere una responsabilità di governo solo sul piano nominale.

    E poi: qualcosa cambiò?
    No, era diventata una prassi che i ministri erano diventati dei passacarte, che ricevevano testi normativi in Consiglio dei ministri e li approvavano, addirittura, qualche volta, anche con delle norme in bianco.

    Lei vede elementi in comune nel modo in cui cadde il suo governo e nel modo in cui è caduto questo?
    Assolutamente no. Il mio governo è caduto per la deliberata volontà di una forza politica, Italia Viva di Matteo Renzi, essenziale per i numeri della maggioranza, che ha iniziato pretestuosamente a martellare per innescare la crisi.

    E c’era anche una pressione internazionale che invece oggi non c’è stata?
    Non voglio parlare di quello che non s’è visto. Io parlo di quello che è stato visibile. Ritengo che Renzi si sia prestato nel cogliere pressioni che sono andate anche sopra la sua testa, rispetto anche a tutti gli interessi economici a cui abbiamo pestato i piedi.

    E oggi?
    Oggi è tutto diverso, perché se dovessi sintetizzare le ragioni della crisi direi che: al di là del colpo di pistola sparato dal Pd che ha dato avvio alla crisi, cioè l’inceneritore di Roma, a questa crisi di governo si è arrivati dopo che un governo nato per due emergenze (pandemia e Pnrr, ndr) ha invece preteso di andare avanti di fronte a nuove emergenze – come la guerra in Ucraina e la crisi energetica – senza voler condividere un’agenda di lavoro con le forze di maggioranza e senza mostrarsi disponibile a un confronto con il Parlamento, che rimane centrale e che a differenza di ciò che ha dichiarato Draghi non può limitarsi ad accompagnare l’azione di governo.

    Lei si pone come terza gamba tra Pd e Fratelli d’Italia. Ma lo sa che dicono che da “C a C”, cioè da Conte a Calenda, tutta la sinistra insieme riuscirebbe a limitare la destra sia alla Camera che al Senato?
    Non si possono conciliare le nostre battaglie per i lavoratori precari, per i lavoratori con stipendi da fame e per le persone che sono vulnerabili con l’agenda di Calenda. Mi creda…

    Allora chi vorrebbe nel suo “campo giusto” come alleato. De Magistris?
    Il nostro campo è aperto a chi ha a cuore i principi costituzionali e non è disponibile a barattarli con il prestigio di una singola persona. E siamo aperti a tutte le componenti della società civile che ritengono fondamentale l’eguaglianza sostanziale come recita l’art. 3 della Costituzione italiana.

    E Michele Santoro lo candiderebbe?
    Parleremo sicuramente anche con lui. Ma voglio evitare operazioni a tavolino. Siamo aperti a chi vuole condividere il nostro progetto, ma l’importante è che tutti i nostri sostenitori condividano la non negoziabilità dei nostri principi.

    Alessandro Di Battista?
    Con lui il discorso è un po’ diverso. Ha dato un forte contributo alla storia del Movimento, poi si è allontanato. Se ritorna troverà un nuovo corso. Non sarà più come all’inizio, senza una struttura. Dovrà accettare nuove regole statutarie.

    Lei è rimasto molto deluso da Di Maio?
    Non credo sia giusto far pesare la mia delusione. Di Maio deve rispondere primariamente alla sua coscienza. Certo, mi ha molto sorpreso vederlo abiurare così disinvoltamente a principi e valori che per anni ha declamato apparentemente con grande convinzione.

    C’è perciò una pregiudiziale da parte vostra a stare in una alleanza in cui c’è anche Di Maio?
    Mi sembra che non ci sia neppure la premessa per discuterne.

    Lei si è mai pentito di aver intrapreso la strada di diventare leader dei 5s?
    No mai, assolutamente no.

    Tornasse indietro, rifarebbe tutto?
    Sì, nonostante la gran fatica. E il dispendio di energie fisiche e mentali per realizzare questo percorso. Mi sarei sentito un vigliacco se non avessi dato il mio contributo al rilancio di una forza che nella mia visione rimane la più sana e intransigente nel difendere gli interessi di chi non conta e di chi non ha voce. E di tutti gli invisibili. Che sono la moltitudine.

    Lei oggi si definisce più di sinistra del Pd?
    No, non mi definisco più di sinistra del Pd. Mi definisco più coerente e conseguente rispetto ai principi e valori della giustizia sociale che faccio miei.

    Da avvocato del popolo ad avvocato dei precari, degli ultimi, insomma…?
    Guardi, sicuramente la massima attenzione va dedicata a chi non ha nulla o a chi ha ben poco. Ma la verità è che se la concentrazione della ricchezza è in mano a pochi, anche il ceto medio si è impoverito. Tutte le partite iva se la passano male. Sono loro i nuovi poveri. Hanno stipendi da fame. Non riescono a mantenere le famiglie.

    Come pensa di affrontare il problema?
    Intanto approfitto di questa intervista per annunciare una misura  del nostro programma elettorale che proporremo in occasione delle elezioni politiche del prossimo settembre: il cashback fiscale. Vuol dire che le persone avranno un rimborso diretto e immediato, con accredito sul conto corrente delle spese detraibili. Chi va in farmacia, chi paga una visita vedrà dunque arrivare subito sul conto la detrazione, senza aspettare la dichiarazione dei redditi.

    E i giovani?
    Per loro stiamo studiando una misura per le agevolazioni sui mutui per acquistare e affittare case, una formula che ha funzionato nel Regno Unito che permetta di comprare una casa anche quando non si è nelle possibilità di farlo. E poi continueremo sugli incentivi per le assunzioni con contratti stabili per gli under 36, come nel Conte 2. In un anno si è arrivati a quota 230mila contratti per ragazze e ragazzi. Dobbiamo approvare il salario minimo legale subito, contrastare il precariato e chiudere il triste capitolo di tirocini e stage gratuiti.

    Altro?
    Sì, vogliamo garantire alle donne che la nascita di un figlio non significhi rinunciare al lavoro. Per farlo serve estendere la durata del congedo di paternità, che oggi è di soli 10 giorni, affinché sia la stessa di quella di cui godono le mamme.

    Sui due mandati come si pone il nuovo corso di Conte?
    Entro questa settimana chiariremo questo passaggio che rischia di distrarre l’attenzione dalle misure e dai programmi che proponiamo.

    Conte, nel passato chi è stato a sinistra del Pd ha dovuto sempre avere a che fare con il voto utile. Non teme che le dicano: ‘Conte mi è simpatico ma votarlo sarebbe invece inutile. Votando Letta, invece, posso davvero sconfiggere la destra e la Meloni’. Come risponde a chi fa questo ragionamento?
    La logica del voto utile è la più grande mistificazione che sia stata fatta agli elettori. Gli elettori devono dare un voto giusto. E lo devono dare a chi dà la maggiore garanzia di mantenere gli impegni assunti durante la campagna elettorale. Quello che io posso garantire è che il voto al M5s non andrà sprecato. Perché è un voto che mirerà a contrastare il consolidamento di quelle oligarchie politiche ed economiche che hanno impedito lo sviluppo sociale del nostro Paese.

    Sembra di sentire parlare Mélenchon. Si ispira a lui?
    Non posso negare che la sua agenda sociale e ambientale sia molto interessante, e abbia punti di contatto con i nostri valori. Ma sono due storie e due Paesi diversi.

    Ma c’è qualcuno a cui lei si ispira?
    Più che a qualcuno, a qualcosa: ai principi della nostra Costituzione.

    Parlo di leader…
    No. Siamo già abbastanza originali.

    Quindi, questo voto utile?
    Quindi… ma quale voto inutile, vogliono creare questa tenaglia intorno a noi, ed è ciò che gli altri temono di più. Il voto a questo punto è a tre, la sfida non è più a due. Perciò non fatevi ingannare, non vi fate prendere per i fondelli con questa storia del voto utile. È una mistificazione. Un inganno.

    Mi leva una curiosità: ma cosa ci sta facendo in Puglia in questi giorni?
    Lei, con questa intervista, è testimone del fatto che sto lavorando anche adesso… a parte questo era davvero tanto tempo che non venivo a trovare i miei genitori. Mi serviva una pausa di qualche giorno prima di una campagna elettorale che sarà dispendiosa.

    Cos’è un ritorno primordiale alle origini?
    Diciamo più un modo per immergermi nell’umiltà e nella semplicità delle proprie origini, e un bagno ritemprante sul piano spirituale e anche fisico.

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