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    Emma Bonino in diretta su TPI LIVE

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 5 Feb. 2018 alle 14:08 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:32

    TPI ha intervistato, ospite nella propria redazione, Emma Bonino in quello che sarà il primo di una serie di incontri con esponenti politici di tutte le aree in vista delle elezioni del prossimo 4 marzo.

    Emma Bonino, storica leader radicale, ha ricoperto incarichi importanti come Commissario europeo, ministro del Commercio con l’estero, ministro degli Esteri. In vista delle elezioni politiche ha iniziato una nuova avventura, quella alla guida della lista +Europa, una forza composta sia da figure legate al mondo radicale (come Riccardo Magi, Benedetto Della Vedova, e Marco Perduca), ma anche persone con storie diverse, come Bruno Tabacci. Una lista alleata nella coalizione di centrosinistra con PD, Insieme, Civica Popolare e SVP e con cui sarà candidata al senato nel collegio di Roma Centro.

    In un momento storico in cui i partiti euroscettici hanno visto una forte crescita in tutto il continente, lei fa una scelta diversa e dice “Più Europa”, come mai questa scelta apparentemente fuori moda?

    Noi siamo profondamente convinti che non c’è futuro se non all’interno dell’Europa, perché se guardiamo da una parte c’è Putin, se guardiamo dall’altra c’è Trump, se guardiamo da un’altra parte c’è il gigante cinese e se guardiamo a sud c’è il Mediterraneo a fuoco e fiamme. In questa situazione in cui c’è un nuovo ordine mondiale che è morto e uno nuovo che non compare, l’ultima cosa che dobbiamo fare è stare con 27 staterelli alla deriva in cui ognuno si fa i fatti suoi. Questa è proprio irresponsabilità nata per affrontare le sfide dei nostri giorni che siano la globalizzazione, il commercio, lo sviluppo economico, e solo l’Unione europea può avere la speranza di contare qualcosa nel nuovo ordine mondiale che verrà, il tutto dietro i nostri valori che sono democrazia, libertà e liberaldemocrazia.

    In che modo l’Italia può avere un ruolo determinante all’interno di questa Europa?

    Innanzitutto l’Italia deve smettere di cambiare governi ogni anno, tanto per essere credibili. Gli accordi, anche quelli economici, sono accordi di lunga durata, quindi deve capire che la sua credibilità in Europa ha molto a che fare con la tenuta del governo. Per non parlare dell’economia e di come gestiamo il debito pubblico, che lasciamo ai giovani già dalla nascita, e dell’interesse che noi per questo paghiamo alle banche, che equivale a tre finanziarie e rallenta la crescita.

    Un altro tema molto importante cui la sua lista ha dato forte risalto è quello dell’immigrazione. Un problema che più di altri è oggi sentito in Italia e divide particolarmente gli italiani. Ricordiamo che lo scorso anno sono sbarcate quasi 120mila persone sulle coste italiane. Lei ha più volte criticato anche il modo in cui questa è stata gestita dall’attuale ministro dell’Interno Marco Minniti: cosa dovrebbe fare secondo lei il nostro paese per affrontare questo tema?

    Io credo che due cose deve fare il nostro paese: essere credibile e persistente a livello dell’Unione europea, secondariamente deve mettere ordine a casa, perché quello che spaventa non sono tanto i milioni di immigrati integrati che partecipano al PIL, che contribuiscono all’INPS, ma sono quelle centinaia di migliaia di cosiddetti clandestini o irregolari che lavorano in nero e che spesso collidono con la criminalità, anche italiana. Cose che non si possono fare. Purtroppo su questo sento cose inenarrabili da parte anche di esponenti politici.

    Alcuni, nella coalizione di Berlusconi, dicono ad esempio di voler cacciare i 600mila irregolari. A parte che la legge su cui si basa il meccanismo dell’immigrazione oggi si chiama Bossi-Fini, l’hanno fatta loro superando la Turco-Napolitano che era molto più integrante come impostazione e come efficacia. Sono sempre loro che hanno fatto due sanatorie per un totale di un milione di immigrati irregolari tra quella del 2002 e quella del 2009. Tutto questo senza che ci fossero drammi, e credo abbiano fatto bene.

    Quello che dovremmo fare, è cercare di cambiare la Bossi-Fini, adattarla alla situazione e integrare il più possibile illegalità e umanità, da quelli che lavorano in nero a quelli che lavorano nei settori che gli italiani non vogliono più creare come l’agricoltura e la costruzione, come è ovvio che sia, perché è un’aspirazione naturale che i giovani facciano un lavoro migliore di quello dei padri. Anche io sono figlia di contadini, e i miei genitori hanno voluto che io studiassi.

    Serve questo, oltre a una politica estera a lungo termine, perché nell’immediato non avrà esiti nel guazzabuglio libico. Dobbiamo capire che le migrazioni fanno parte della natura umana: 20 milioni di italiani hanno lasciato l’Italia tra le due guerre, e non gli italiani del sud, perché sono stati il Veneto e il Piemonte a spopolarsi.

    Riguardo i respingimenti abbiamo un solo rapporto che è pubblico, quello dei 29 tunisini rimandati in Tunisia nel maggio 2016. Intanto, per il rimpatrio serve un accordo con il paese, non si lasciano all’aeroporto e si abbandonano, e l’accordo con la Tunisia prevede il rimpatrio per gruppi di massimo 30 persone. Per legge, i 29 tunisini sono stati accompagnati da 74 funzionari, tra polizia di stato, medici, infermieri, agenti di scorta e delegati per i diritti dei detenuti, in un aereo assegnato per gara. Proviamo a moltiplicare questo per 600mila. Ed è assurdo che sia un leader moderato come Berlusconi a portare avanti una proposta simile. Questo significa spendere 2,4 miliardi di euro per rimpatriarli tutti.

    Ha parlato del fatto che gli stranieri fanno spesso i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Spesso questi lavori avvengono in situazioni di sfruttamento e di illegalità.

    Quegli immigrati vanno legalizzati. Devono avere dei diritti e dei doveri, e anche noi dobbiamo avere dei diritti e dei doveri verso di loro.

    Non possiamo non parlare di quanto è avvenuto a Macerata, dove un uomo ha sparato dalla propria auto contro alcuni stranieri, ferendone sei. Non vogliamo speculare in alcun senso, a quanto ne sappiamo possiamo essere di fronte a un fatto isolato, ma in molti nella politica hanno ricollegato quanto avvenuto all’odio fomentato da alcuni partiti o ai crimini che vengono portati avanti da extracomunitari. Lei pensa che quanto è avvenuto sia legato a questo clima?

    La violenza non è ammessa mai. Come quando c’è una violenza sulle donne e si dice che se la sono cercata. La violenza non è accettabile mai, e se chi la compie è un fuori di testa lo si curerà. È poi chiaro che, alimentato dagli imprenditori della paura, si sta creando un clima d’odio contro non solo gli immigrati, ma contro i poveri in generale, anche italiani. I barboni ad esempio, non piacciono a nessuno. È un sentimento che bolle da tempo e che nessuno ha affrontare.

    La sua lista e lei personalmente vi siete spesso opposti alle politiche di Marco Minniti, ma alla fine vi presentate alleati del suo partito. Anzi, per come è strutturata la legge elettorale, chi voterà per +Europa a Pesaro e Urbino, automaticamente voterà per Marco Minniti. Cosa vi ha spinto a trovare questo accordo?

    Intanto non siamo nello stesso partito, perché io non sono iscritta al PD e loro non sono iscritti ai Radicali Italiani, anzi, se lo facessero farebbero una bella cosa. L’alleanza poi la impone questa legge elettorale che sarà foriera di confusione e disastri. Oltre a questo, in questo momento i nostri avversari non sono nel PD, ma sono dall’altra parte. Noi in ogni caso porteremo avanti il nostro programma, anche perché la legge non prevede che le coalizioni presentino un programma comune, e il nostro obiettivo è quello di rafforzare lo spirito europeista intermittente e timido tenuto dal PD.

    Rimanendo sul tema dei migranti, uno dei luoghi da cui sono fuggiti più profughi e richiedenti asilo è stata la Siria. Una guerra civile molto sanguinosa, con circa 300mila persone rimaste uccise, oltre 5 milioni di rifugiati, oltre sette milioni di sfollati interni. Una guerra particolarmente complessa dal punto di vista degli equilibri internazionali, con fazioni settarie in lotta tra di loro e che non sembra destinata a terminare dopo che l’Isis è rimasto senza territorio. Gli uomini fedeli al presidente Assad – sciiti – contro i ribelli, spesso sunniti, i curdi. E la presenza di potenze globali o locali, come USA, Russia, Iran e Turchia a rendere più complessa la situazione geopolitica. L’Italia ha degli strumenti per fare la sua parte in processo che ponga fine alla guerra? 

    Ma per favore, intervenire per fare che? Intervenire nelle guerre civili è già dannoso di per sé, e poi c’è il problema di un vecchio ordine mondiale che è morto e uno nuovo che stenta a nascere. Di fronte a tragedia di questo tipo non ci sono paesi singoli che possono risolvere la situazione. Negli ultimi anni ci sono poi potenze regionali che sono cresciute sotto i nostri occhi senza che ce ne accorgessimo: alcuni decenni fa chi sapeva cosa fosse il Qatar?

    Noi oggi quello che possiamo fare è accompagnare il più possibile eventuali negoziati, ma se si ha questa idea che si può arrivare dall’esterno per pacificare una situazione, bisogna avere chiaro che poi bisogna occuparla e starci. Guardate cosa è successo in Kosovo, un’area piccolissima. Quando si decise di intervenire militarmente contro Milosevic, sapevamo tutti che saremmo dovuti rimanere in Kosovo per decine di anni, e infatti ancora ci siamo.

    In questa situazione dobbiamo fare il massimo degli sforzi umanitari e democratici, ma rendendoci conto che non siamo noi gli unici attori che determinano la situazione di regioni varie nel mondo.

    Questa difficoltà a intervenire dall’esterno vale anche per il Niger?

    In Niger al momento non c’è una guerra civile. È una zona di passaggio, ricca di materie prime, a partire dall’uranio, e gli interessi francesi sono storicamente evidenti. La Francia inoltre ha in corso una missione unilaterale nel vicino Mali. Il nostro intervento, che qualcuno chiama a sproposito coloniale, perché parliamo di numeri piccoli, 400 militari in un anno, sarà probabilmente un contributo italiano all’interno dell’apparato francese.

    Ecco a queste crisi, c’è un altro tema che preoccupa, ovvero che si riinizia a parlare di atomica. Ora non vogliamo creare allarmismi eccessivi, ma è vero che ci sembrava un retaggio della guerra fredda, mentre invece se ne torna a parlare, ci sono test nucleari in Corea del Nord e Papa Francesco ha detto di aver paura che ci possa essere una guerra nucleare. Anche qui le chiedo: l’Italia cosa può fare per scongiurare il pericolo?

    Ripeto: solo una dimensione almeno europea può avere la possibilità anche solo di farsi sentire. Noi abbiamo messo nel programma l’opposizione al nucleare, con l’appello degli scienziati, ma non facciamoci illusioni: non è l’Italia da sola, così come non può essere la Germania da sola o la Francia da sola a risolvere problemi come questo. Non è un caso che la difesa comune sia uno dei punti del programma di Ventotene.

     

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