Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Politica
  • Home » Politica

    Marta Bonafoni a TPI: “Solo Elly Schlein può riparare la sinistra”

    Marta Bonafoni, neo-coordinatrice della segreteria Pd. Credit: AGF

    “Radical chic? Macché! Io e Schlein siamo pop. Con lei alla guida un Pd più vicino alla gente. Le battaglie non cambiano, solo bisogna cominciare a vincerle. Meloni? È forte, ma non apre la strada ad altre donne”. Parla la nuova coordinatrice della segreteria dem

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 4 Mag. 2023 alle 12:10 Aggiornato il 31 Lug. 2023 alle 19:38

    Marta Bonafoni, nuova numero due del Pd. Sa che il suo cognome, a Roma, fa venire in mente negozi di scarpe?
    (Sorriso). «Non solo a Roma, se è per questo. Lo slogan negli anni Cinquanta era: “O calzi Bonafoni o sei scalzo”. La catena, che quando era ancora vivo mio nonno arrivò a 18 negozi, fu ereditata da mio padre e mio zio». 

    Ha fatto in tempo a vederla?
    «Sono cresciuta nel negozio più grande. Io e mia sorella giocavamo con le scatole e i modelli da donna. Gli unici tacchi della mia vita». 

    È pratica?
    «Mio padre mi ha insegnato le tre grandi regole per valutare le scarpe: flessibilità, adattabilità, ma soprattutto riparabilità. Papà odiava l’usa-e-getta».

    Perfetto, anche per la politica.
    «Occorre ripararla la sinistra, sì». 

    Lei è di sinistra, ma è nata ricca: ereditiera di una catena di negozi!
    «Non proprio, guardi: sono caduti, uno ad uno, come città perse in una guerra». 

    E il nemico?
    «Una serie di crisi, anche prima del 2007. Siamo stati vittime della grande distribuzione: aggrediti dai prodotti a prezzo stracciato».

    Che ha portato poi alla vendita del gioiello più bello: il negozio di via Appia.
    «Lì mia madre aveva conosciuto mio padre. Dopo averlo visto in vetrina, praticamente comprava un paio di scarpe al giorno. Poi gli acquisti finiscono e nasco io». 

    E il momento più brutto?
    «Il dibattito su quel negozio. Durò mesi, anni: “Che facciamo?”. Mia madre tenne un locale più piccolo e cedemmo via Appia. Papà disse: “Ho venduto le mie preoccupazioni”». 

    E a lei cosa è rimasto?
    (Indica fuori dal locale dove siamo). «Cosa vede nei negozi ora?». 

    Nulla di particolare.
    «Invece io vedo che in vetrina c’è l’estivo mentre pare inverno, e quando dovrebbe fare freddo si scoppia di caldo. I cambiamenti climatici sono un problema anche per chi ha un negozio». 

    Marta Bonafoni nuova coordinatrice della segreteria del Pd, tessera del partito in tasca da poche ore. Romana. Una prima vita da conduttrice radiofonica, per cinque anni a Milano. La seguo nella sua prima iniziativa (bella) da “super” dirigente nel “Versante Prenestino” il pezzo estremo della periferia romana, dopo Tor Bella Monaca. Militanti commoventi. Lei: «Io sono sempre qui. Per me è stato strano ritrovarmi nella Ztl per andare al Nazareno!». 

    Lei ha un figlio, ma non un marito.
    «Il singolare di famiglia non mi basta. Dico “famiglie”, semmai». 

    Suo figlio Rocco è ormai ventenne.
    «Viviamo soli, io e lui. Da sempre». 

    Cosa è accaduto al padre?
    «Ci siamo conosciuti a Radio Popolare: era un ascoltatore, incuriosito dalla mia voce. Eravamo più che amici, meno che una coppia. Rocco poteva dividerci o unirci. Ci ha diviso, ma ci vogliamo bene». 

    Lei ha voluto comunque il figlio.
    «Sono riuscita a dire a mio padre, a 26 anni: “Tengo il bambino, ma rischio di essere sola”. Mi disse: “Mamma e io ci saremo”. Avevo un contratto a tempo determinato. E la radio decise di assumermi perché ero incinta». 

    Ha acceso un cero?
    «Dovrebbe essere la norma. Ma so di aver preso uno degli ultimi treni». 

    Non aveva problemi economici.
    «Invece, non ho chiesto mai un soldo ai miei genitori». 

    Famiglia di sinistra?
    «Papà non c’è più, era socialista, poi Pd. Mia madre sessantottina e poi rifondarola. Entrambi cattolici». 

    Superiori?
    «Al Socrate. Una  professoressa di greco e latino femminista, Gabriella De Angelis, mi cambia la vita». 

    Valditara si arrabbierà. Mi faccia un esempio.
    «Il nostro cineforum femminista intitolato a Santippe, moglie di Socrate. E discussioni infinite su Thelma e Louise». 

    E all’università?
    «Scienze della comunicazione. Altri grandi maestri, come il professor Morcellini». 

    Studiava da giornalista?
    «Mi immaginavo antropologa! Ma supero un test a numero chiuso e mi ritrovo lì. Un giorno nella bacheca della cattedra di Abruzzese vedo un annuncio. Entro a Radio Popolare come normale corrispondente. Finché, per puro caso, un giorno mi ritrovo a Sociologia la mattina in cui le Br sparano a Massimo D’Antona: vedo un corpo insanguinato a terra, ancora respirava». 

    E cosa fa?
    «Corro al telefono a gettoni. Do la notizia dell’omicidio, non sapevo chi fosse. E poi, ancora turbata, a lezione da Morcellini. Gli portano un biglietto. Lo vedo sbiancare. Capisco subito. Lui, con voce rotta: “Hanno ucciso Massimo D’Antona”». 

    Le è cambiata la vita?
    «La polizia mi interroga. Divento insieme testimone e cronista. Piero Scaramucci, direttore della radio, mi passa in cronaca nazionale. Un giorno mi chiama: “Vieni a Milano”». 

    Per quanti giorni?
    «Cinque anni! E mi ritrovo a Genova, nel 2001. Sono figlia di quella storia. È il debutto di una generazione. E il mio: do l’ultimo esame e parto per il G8 con i capelli blu». 

    Che ricordi ha?
    «Tante botte». 

    Diventa “la voce” della mattina.
    «Mi alzo per tre anni alle 4». 

    E oggi?
    «Nooohhhh, comoda: alle 6.15. Vado a correre al parco mentre ascolto la rassegna». 

    Ma davvero ha fatto tre maratone?
    «La mia gara ideale è 21 km, ma la maratona di New York è l’esperienza che ti cambia». 

    Addirittura.
    «Quando mi chiedono come posso fare politica, rispondo: “Inizia a correre. E misura la distanza”». 

    Torna a Roma nel 2005.
    «Fondo Radio Popolare Roma. Redazione accanto al centro sociale Brancaleone». 

    E da lì passa a Gasbarra e Zingaretti.
    «Un giorno mi ritrovo a intervistare Nicola. Nasce un rapporto. E nel 2013 mi ritrovo candidata alla Regione, eletta nel suo listino della società civile». 

    Nel 2018 capolista nella lista Zingaretti.
    «La più votata, con 7.500 voti». 

    Però non diventa zingarettiana.
    «Grandissima stima e lavoro di squadra, ma non ero nel suo cerchio ristretto». 

    E intanto conosce Schlein.
    «Nel 2018, nelle campagne del pontino, invitate entrambi a una cerimonia di braccianti indiani! Lei mi fa: “Ho sentito molto parlare di te”. E così scoppio a ridere: “Semmai io!”. Sa quando ci si trova subito nella vita?». 

    E cosa vi unisce in una parola?
    «Siamo Pop! Mia sorella è omosessuale. Ho provato sulla nostra pelle che sui diritti civili si dicono un sacco di cose distanti dalla vita delle persone». 

    Figli arcobaleno?
    «Sono stra-favorevole al riconoscimento dei registri. Oggi c’è una vergognosa criminalizzazione di bimbi e genitori».

    E la gravidanza per altri?
    «È un grande interrogativo. Occorre parlarne, capire, non giudicare senza appello. Anche a sinistra. Desiderio è una parola bellissima, da sottrarre alla demonizzazione dell’avversario». 

    Esempio?
    «Avere un figlio dipende dal desiderio, più che da un bonus». 

    Lei è la numero due del Pd, ma ha preso la tessera dopo esserlo diventata.
    «Sono piena di rispetto per la comunità del Pd. Mi ha accolto con affetto commovente. Elly è l’unico rinnovamento possibile». 

    Però avete perso.
    «Un pezzo di scuola vota Meloni, gli operai votano Meloni, le mie periferie votano Meloni». 

    Cosa pensa di lei?
    «È una donna forte, ma non apre la strada ad altre donne». 

    Il Nazareno la sta cambiando?
    (Ride). «Difficile. Non ho ancora nemmeno una stanza, ma una specie di ufficio co-working al fianco di Elly». 

    Siete radical chic?
    «Ma che dice? Vivo e lavoro da anni tra periferie e borgate». 

    Il vostro Pd va più a sinistra?
    «No. Va incontro ai bisogni delle persone». 

    Marcucci minaccia di andarsene: stappa lo champagne o lo implora di restare?
    «Chi va via non fa piacere a nessuno». 

    E sull’invio delle armi: lei pacifista doc, cosa vota?
    «Mi atterrei alla volontà discussa nel partito in cui sono entrata. Chiederei di alzare la voce per una trattativa di pace». 

    Si definisce “transfemminista”.
    (Spalanca gli occhi). «Sono fortissimamente femminista!».

    È “socialista”?
    «Se significa redistribuire ricchezza, senza dubbio». 

    E se le dicono “comunista”?
    «Mai avuto una tessera. Ho votato Rifondazione da ragazza, poi Sel. Sono cresciuta con il mito della Resistenza. Le storie contano e la mia ha queste radici». 

    La vostra è una sfida improba?
    «Per la prima volta gli iscritti non aumentano prima di un congresso, ma dopo. Non per pilotare un risultato, ma per effetto di un risultato prodotto dagli elettori». 

    Quando parla di Schlein lei pare una apostola che invoca il messia.
    «Elly dice quello che pensa. E fa quel che dice». 

    E lei, quando va nella sezione del Prenestino cosa dice?
    «Voi avevate una bandiera e io no. Io ero sola. Ma eravamo sempre nelle stesse piazze, impegnati nelle stesse battaglie di equità». 

    E ora?
    «Le battaglie non sono cambiate, solo che bisogna cominciare a vincerle. Nel Pd, al fianco di Elly».

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version