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    Morte di una regione rossa (di Stefano Mentana)

    Donatella Tesei e Matteo Salvini Credit: Ansa

    Il centrodestra è diventato il nuovo punto di riferimento di tanti italiani con una storia politica diversa alle spalle, che si sono sentiti abbandonati da una sinistra che ha votato la Fornero e ai loro occhi si è battuta di più per la tutela degli immigrati che dei diritti degli italiani

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 28 Ott. 2019 alle 20:42 Aggiornato il 23 Feb. 2023 alle 15:50

    Elezioni in Umbria, morte di una regione rossa

    Correva il giorno 14 maggio 2001 e dalla sala stampa del Viminale più d’un inviato segnalava un dato relativo alle elezioni comunali di Gubbio del giorno precedente, svoltesi in concomitanza col trionfo elettorale alle Politiche della Casa delle Libertà di Silvio Berlusconi.

    Nella città dell’Umbria settentrionale, infatti, si sarebbe tenuto un insolito ballottaggio tra centrosinistra e Rifondazione, che due settimane dopo avrebbe visto la vittoria del candidato comunista Orfeo Goracci. Quattro anni dopo, le regionali umbre videro la candidata del centrosinistra Maria Rita Lorenzetti imporsi con un netto 63-33 sullo sfidante Pietro Laffranco.

    Due dati in qualche modo simbolici per mostrare che l’Umbria, fino a poco fa, è stata una regione rossa. Ma come spesso succede nelle elezioni, anche le roccaforti elettorali più consolidate rischiano di cambiare colori, talvolta per un solo giro di valzer, talvolta per un cambiamento politico e sociale più profondo, che può inserire quel territorio in un’altra parte dello scacchiere elettorale. Il caso Umbria, dove la candidata di centrodestra Donatella Tesei ha trionfato con il 57,48 per cento dei voti, non è di certo il primo.

    Spostiamoci un momento dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, e guardiamo il piccolo stato americano della West Virginia. Questo stato fu una roccaforte democratica per decenni, con uno zoccolo duro dell’elettorato costituito dai lavoratori dell’industria carbonifera locale. Qui i democratici hanno vinto tutte le elezioni presidenziali dal 1960 al 1996 con le sole eccezioni del 1972 e del 1984 (ma in quei casi i repubblicani vinsero con quella che negli Stati Uniti è chiamata “landslide” e si conquistano anche stati storicamente di opposte vedute).

    Nel 2000, tuttavia, mentre il mondo aveva gli occhi su una manciata di voti in Florida, a determinare la sconfitta del democratico Al Gore contro il futuro presidente George W. Bush ci fu anche il cambio di colore della West Virginia. La vittoria repubblicana, stavolta, non fu un caso isolato: nessun democratico vinse più le presidenziali in questo stato, e nel 2016 Trump ha sfiorato il 70 per cento dei consensi, imponendosi in tutte le contee.

    Cosa era successo in questo stato? Gli elementi sono più d’uno: la spaccatura tra città e campagna sempre più netta nell’elettorato, con i democratici sempre più forti nei centri urbani e sempre più distanti dalle campagne, specialmente dove – come in West Virginia – la popolazione è bianca, e un’attenzione dei democratici ai temi ambientalisti con conseguente opposizione al carbone che hanno fatto allontanare i voti dei minatori. E così la West Virginia si è trasformato, a sorpresa, da feudo democratico a feudo repubblicano.

    Ma in Umbria c’è stato un effetto West Virginia? Probabilmente, il cambio di colore non può essere imputato esclusivamente agli scandali della sanità locale che hanno portato al primo voto anticipato della storia di questa regione. Certo è che il cambiamento elettorale è iniziato molto prima del voto di domenica 27 ottobre che ha consegnato una netta vittoria alla candidata salviniana del centrodestra Donatella Tesei contro l’alleanza sperimentale tra Partito democratico e Movimento Cinque Stelle.

    Oggi chi è nato a Gubbio il giorno dell’elezione di Orfeo Goracci a sindaco per Rifondazione è maggiorenne, e difficilmente può aver memoria della vittoria della Lorenzetti con 30 punti di scarto. Può però ricordare come mentre il PD di Renzi trionfava col 40 per cento alle Europee del 2014, Perugia eleggeva a sorpresa un sindaco di centrodestra, venendo di lì a poco imitata dall’altro capoluogo, Terni, un tempo feudo della sinistra anche per la presenza di una delle principali acciaierie italiane. Ricorda forse anche come nel 2015 le elezioni regionali non furono, per la prima volta da quando c’è l’elezione diretta del presidente, una semplice formalità per il centrosinistra, ma la presidente Catiuscia Marini riuscì a vincere per appena tre punti sullo sfidante Claudio Ricci.

    Ma nel frattempo, in Italia come negli Stati Uniti, la spaccatura città-campagna dal punto di vista elettorale si è fatta sentire, col centrosinistra che ha perso terreno nell’Italia rurale, nelle periferie, avanzando nei centri urbani, soprattutto all’interno delle ztl, anche in centri città come quello di Milano in cui un tempo non toccava palla, lasciandosi alle spalle anche gli abitanti di una regione rurale come l’Umbria, e ha iniziato a mettere da parte i temi tradizionali del mondo operaio, lasciandosi alle spalle anche i lavoratori delle acciaierie di Terni. Un processo che sta avvenendo in Italia come negli altri Paesi occidentali, con un centrosinistra che ha in gran parte cambiato pelle e, per questo, interlocutori di riferimento.

    E così un centrodestra come quello italiano è diventato il nuovo punto di riferimento di tanti italiani con una storia politica diversa alle spalle, umbri compresi, che si sono sentiti abbandonati da una sinistra che ha votato la Fornero e ai loro occhi si è battuta di più per la tutela degli immigrati che dei diritti degli italiani. E in una regione fatta di piccoli borghi, di campagne, di piccoli imprenditori che hanno come tali sofferto la crisi e di operai delle acciaierie che in molte occasioni hanno rischiato il licenziamento, sul medio termine questi fattori possono fare la differenza. E l’Umbria rossa, così, sembra essersi trasformata solo in un ricordo.

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