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    Elezione presidenti Camera e Senato, non c’è l’accordo: cosa succede adesso

    La decisione della Lega di sostenere il nome di Anna Maria Bernini (Forza Italia) alla presidenza del Senato sembra aver diviso il centrodestra. Ma ci sono due possibili scenari:

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 23 Mar. 2018 alle 18:55 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:27

    Nonostante gli scrutini, i voti, la conta e la lunga giornata della Camera e del Senato, finora abbiamo scherzato. L’elezione dei presidenti di Camera e Senato della XIII legislatura è ancora un interrogativo, anche se si cominciano a delineare due possibilità.

    La prima è che si raggiunga un accordo entro domani mattina su un nome del centrodestra meno indigesto ai grillini rispetto a quello di Paolo Romani. In tal caso, il presidente del Senato potrebbe essere eletto già al terzo scrutinio, con l’ok dei Cinque Stelle (qui il procedimento con cui vengono eletti i presidenti delle due Camere).

    L’idea della Lega è di convergere verso Anna Maria Bernini, esponente di Forza Italia ed ex ministra per le Politiche europee nel governo Berlusconi. Salvini ha detto che la decisione di abbandonare il nome di Romani per privilegiare Bernini è stata presa per “uscire dal pantano”, nel tentativo di mediare con il Movimento Cinque Stelle senza perdere l’appoggio di Forza Italia.

    Tuttavia questa ipotesi sembra ormai improbabile visto che, nel commentare questa scelta, che brucia il nome di Romani per la presidenza del Senato, Berlusconi ha parlato di un “atto di ostilità che rompe la coalizione”.

    Rimane quindi plausibile a questo punto una convergenza Lega-Cinque Stelle per la presidenza del Senato, forse su un nome che non è ancora uscito.

    La seconda possibilità è che, di fronte all’arroccamento di Forza Italia, i grillini scelgano il ribaltone: rompere definitivamente il patto col centrodestra (mai ufficializzato, ma sostenuto da ripetuti contatti che Di Maio e Salvini hanno entrambi dichiarato di aver avuto) e sostenere una figura del centrosinistra, e in particolare il dem Luigi Zanda, capogruppo uscente del Pd al Senato, o la senatrice Emma Bonino, eletta con +Europa nella coalizione di centrosinistra.

    In cambio, il Pd potrebbe scegliere di sostenere un grillino alla presidenza della Camera.

    In questo modo, paradossalmente, la coalizione risultata vincente alle elezioni dello scorso 4 marzo, vale a dire il centrodestra, potrebbe ritrovarsi senza la presidenza della Camera né quella del Senato.

    Nel caso in cui si verifichi questa eventualità, sarebbe inoltre da considerarsi fallito il primo tentativo per la formazione di una maggioranza parlamentare centrodestra-Cinque Stelle.

    Dall’altro lato non risulterebbe invece affatto scontata la replica dell’asse Pd-M5S per la formazione di un governo, data la nota posizione dei democratici (promossa dall’ex segretario Matteo Renzi e confermata dal reggente Martina) di rimanere all’opposizione.

    La conseguenza di questa situazione è lo spaesamento che regna nel transatlantico di Montecitorio, dove prima, durante e dopo le votazioni i parlamentari sono restii a rilasciare dichiarazioni sulla presidenza.

    “La situazione è ancora troppo fluida per pronunciarsi”, ha detto nel corso della mattinata a TPI Emilio Carelli, ex direttore di SkyTg24 eletto alla Camera con il Movimento Cinque Stelle.

    “La questione dei presidenti è ancora troppo confusa, ne riparliamo più tardi”, gli fa eco Riccardo Magi, eletto con +Europa nella coalizione di centrosinistra.

    Per i corridoi di Montecitorio si scorgono inoltre ministri come Franceschini e Lorenzin, che non si esprimono su un possibile sostegno Pd a un presidente della Camera grillino.

    Si vedono anche molti leghisti, facilmente riconoscibili dalla spilla sul petto con il simbolo della Lega.

    Fabio Rampelli, capogruppo uscente di Fratelli d’Italia alla Camera, critica invece la scelta del Movimento Cinque Stelle di rifiutare l’incontro con Berlusconi.

    “Mi sembra che emerga una certa immaturità da parte di alcune forze politiche”, dice a TPI, “che rifiutano di incontrare altri leader politici. I leader non servono solo a lanciarsi attacchi a vicenda come durante la campagna elettorale, che adesso è finita”, sottolinea.

    Sul veto dei Cinque Stelle sul nome di Paolo Romani, Rampelli sottolinea: “Se si tratta di un accordo politico si possono porre dei veti. Ma nel caso di un accordo istituzionale non ha senso. È  un atteggiamento infantile”.

    La stessa linea è ribadita da Renato Brunetta, capogruppo uscente di Forza Italia alla Camera, che poco prima dell’esternazione di Salvini si era detto sicuro che il 24 marzo sarebbe arrivata la fumata bianca al Senato per Romani. Molto probabilmente, invece, non sarà così.

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