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    Don Biancalani a TPI: “Ddl Zan serve, il Concordato? Chiediamocelo”

    La nota del Vaticano sul Ddl Zan ha spiazzato tutti, ma cosa pensano i sacerdoti e gli uomini di fede di questo atto più unico che raro compiuto dalla Chiesa? Noi di TPI lo abbiamo chiesto a Don Massimo Biancalani, il parroco di Vicofaro

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 23 Giu. 2021 alle 15:12 Aggiornato il 1 Lug. 2021 alle 15:52

    Va avanti senza sosta il dibattito sulla controversa nota del Vaticano sul ddl Zan consegnata il 17 giugno da monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati, all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, per la presunta violazione del Concordato tra Italia e Vaticano. L’iniziativa ha contribuito ad agitare i rapporti tra le forze politiche che compongono la maggioranza di governo: il Pd difende il testo, mentre Matteo Salvini (come anche Giorgia Meloni) applaude la nota, parlando del ddl Zan come di una “norma liberticida”. Tanto da spingere il presidente del Consiglio Mario Draghi ad affrontare la questione oggi in parlamento, dove terrà le comunicazioni in vista del vertice europeo del 24 e 25 giugno.

    La presa di posizione rispetto alla nota del Vaticano è stata netta per alcuni politici, non ultimo il presidente della Camera Roberto Fico che ha chiesto – a chiare lettere – una non ingerenza della Chiesa rispetto al dibattito in parlamento.

    Ma cosa pensano i sacerdoti e gli uomini di fede di questo atto più unico che raro compiuto dalla Chiesa? Noi di TPI lo abbiamo chiesto a Don Massimo Biancalani, il parroco di Vicofaro, da anni impegnato per l’accoglienza ai migranti, e voce fuori dal coro.

    Come avete accolto la notizia della nota del Vaticano?
    All’interno della Chiesa, in tanti siamo rimasti un po’ perplessi perché la nota che fa riferimento al Concordato appare come un intervento inusuale, insolito. Tirare in mezzo il Concordato sembra una forzatura: credo si sarebbero potuti usare canali diplomatici alternativi. Io avrei evitato un’esternazione di questo tipo quando nel Paese c’è già un dibattito in corso su un tema delicato. Da tempo con la pastorale cerchiamo di prenderci cura delle persone Lgbt che vivono situazioni di offesa e sofferenza. Conosciamo le storie, lo stigma, il peso che devono sopportare.

    Qual è secondo lei il ruolo del Papa nella scelta di sottoporre la nota? 
    Non conosco i retroscena, la Chiesa è una realtà molto articolata e complessa che vede al suo interno fronti più orientati al dialogo rispetto ad altri più intransigenti nell’applicare un giudizio negativo sul tema.

    Se è stata un’iniziativa di Papa Francesco non lo so, che possa essere invece di organismi interni vaticani a cui Papa Francesco non ha potuto dire di no lo trovo più verosimile, lui ha il compito di salvaguardare l’unità. Su certi argomenti la Chiesa è un’entità pluriforme, ci sono visioni diverse. La Chiesa deve evitare una scissione ma certo non riesco a immaginare un documento del Vaticano così ufficiale di cui non sia a conoscenza Papa Francesco. Il ricorso al Concordato sembra una scelta che rischia di creare all’interno della Chiesa disorientamento. Io avrei auspicato il ricorso ai canali ufficiali della diplomazia.

    Trova che i punti sollevati dalla lettera inviata siano condivisibili? 
    Basandomi solo su una mia sensazione, posso dire che una legge che protegge queste persone da tentativi di atteggiamenti stigmatizzanti, violenti credo sia necessaria. Questo non va a inficiare un giudizio della Chiesa che io credo possa mantenere una sua necessaria autonomia. Auspicherei certo che la legge fosse più improntata alla misericordia, ma anche se questo non dovesse avvenire non inficerebbe – ripeto – l’autonomia della Chiesa.

    Lo definirebbe un passo falso?
    Mi è parso inopportuno e si sarebbe dovuto lavorare molto di più sui canali diplomatici. E’ una discussione che rischia di creare all’interno della Chiesa, ma anche della società, una confusione. Voglio dire, ci sono situazioni ben più drammatiche e pericolose nella società e non vedo ricorso al Concordato. Pensiamo ai migranti. Cerchiamo di puntare ai canali giusti. Mi sembra uno strumento inopportuno. C’è anche da rispettare la dignità di un Paese che al momento ha un suo dibattito interno. L’ autonomia è un valore riconosciuto dalla Chiesa, che si fa ora, si torna agli anni Cinquanta?

    Ci sarebbe a questo punto da domandarsi se oggi lo strumento del Concordato sia ancora uno strumento giusto. È utile? io credo che nel Paese siano sufficientemente rappresentate le istanze che stanno a cuore alla Chiesa. Non siamo una dittatura dove c’è il pensiero unico. Sui temi c’è un dibattito, io credo che un’etica morale cristiana debba avere a cuore la sofferenza delle persone. C’è una posizione inattesa anche in termini di pluriformità di atteggiamenti, però entrare nel dibattito con uno strumento del genere così impattante sembra fuoriluogo nonostante tutte le mediazioni.

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