Le grandi aziende digitali globali hanno alterato profondamente le dinamiche del mercato editoriale. Le Big Tech, infatti, aggregano e monetizzano i contenuti prodotti dagli editori, riconoscendo solo briciole dei diritti d’autore. Offrono servizi gratuiti che competono con le fonti originali, ricevendo in cambio dati personali che sfruttano per trattenere la gran parte dei ricavi pubblicitari, indebolendo così la sostenibilità finanziaria di chi si fa carico dei costi di produzione. Una situazione d’emergenza, per far fronte alla quale l’industria dell’informazione italiana ha lanciato nei giorni scorsi un appello invitando il Governo e il Parlamento a intervenire per riequilibrare il mercato, attraverso una vera e propria riforma di sistema capace di spezzare questo circolo vizioso. Ne abbiamo parlato con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria Alberto Barachini.
Sottosegretario, lo strapotere delle Big Tech può considerarsi una minaccia alla democrazia? Si rischia di ledere il valore costituzionale della libera informazione?
«Parlerei soprattutto di un disequilibrio normativo e legislativo. Queste grandi company attuano la distribuzione dei contenuti con logiche commerciali, non seguendo sempre il pubblico interesse, quanto piuttosto il profitto. Sostanzialmente non si considerano editori, e di conseguenza non ottemperano alle responsabilità editoriali proprie del settore. È uno squilibrio del sistema che a mio avviso va risolto quanto prima, altrimenti l’editoria tradizionale sarà sempre più in crisi, a causa di dinamiche come il netto calo degli introiti».
Un tema fondamentale è proprio quello degli introiti pubblicitari: circa due terzi del mercato globale finiscono nelle casse dei colossi della Silicon Valley, lasciando di fatto le briciole agli editori tradizionali, che però devono pagare le tasse, i contributi, far fronte a tutti i costi di produzione e rispondere legalmente per ciò che viene pubblicato. Come si fa a cambiare un rapporto evidentemente così squilibrato?
«La strada deve essere sempre improntata su una collaborazione virtuosa tra questi due mondi. Le grandi aziende internazionali, che godono di fatturati superiori addirittura al Pil di alcuni Stati, dovrebbero avere un atteggiamento responsabile e partecipare alla produzione dei contenuti, ad esempio tramite un prelievo sui loro fatturati. D’altronde siccome questi Over The Top sono sostanzialmente dei distributori di contenuti, è anche nel loro interesse che questi contenuti siano di qualità. E per avere dei prodotti giornalistici di qualità è necessario sostenere il sistema editoriale tradizionale, per poter avere ancora imprenditori che vogliano investire in questo settore».
La Federazione degli editori ha chiesto alla politica un intervento di sistema. Come recepisce questo appello e cosa è stato già fatto?
«Stiamo supportando a livello nazionale la nostra editoria con diverse misure, come quelle per l’innovazione dei sistemi editoriali o il sostegno ai giovani professionisti. Pensiamo sia un asset fondamentale da tutelare, perché permette lo sviluppo di un pensiero critico e la partecipazione democratica dei cittadini. Ci sono poi a livello regolatorio delle norme che negli anni sono state portate avanti per chiedere agli OTT di retribuire i contenuti: alcune di queste grandi società si sono opposte, ma la partita è ancora aperta. Oggi, infatti, ci sono diverse norme europee che vanno in questa direzione. Ho personalmente condiviso l’iniziativa della presidente della Commissione Ursula von der Leyen che ha parlato della necessità di un fondo europeo a sostegno dell’editoria tradizionale».
L’intelligenza artificiale sta portando significative trasformazioni anche nel mondo dell’informazione. Da qualche tempo, ad esempio, Google ha introdotto la sua IA, che fornisce immediatamente una risposta sintetica di quanto cercato, senza bisogno di cliccare sui singoli articoli. Ciò sta facendo perdere agli editori online molto traffico, e quindi ricavi.
«Innanzitutto bisogna imporre che l’utilizzo dei contenuti giornalistici da parte di questi grandi player venga retribuito. Sull’uso dell’IA, è provato che un utente, quando riceve una sintesi fornita dall’intelligenza artificiale, in nove casi su dieci si accontenti di questo risultato e non prosegua nella ricerca. Questo non è un danno solo per l’editoria. Il fatto che si leggano poco i giornali, non si voglia approfondire, si riflette anche nella minore partecipazione democratica, come dimostrano i dati di affluenza alle elezioni. È un circolo non virtuoso che va invertito, con l’impegno di tutti i soggetti coinvolti, ed è fondamentale portare avanti questa battaglia insieme in Europa».
L’Unione europea ha avviato recentemente un’indagine antitrust su Google. C’è anche il tema degli algoritmi usati da questi colossi che sono spesso poco trasparenti, limitando la capacità degli editori di raggiungere i cittadini, pur a fronte di contenuti di qualità.
«Ci sono varie indagini che l’Europa sta portando avanti, per verificare alcune politiche commerciali utilizzate da questi player. In passato, a fronte di violazioni, alcune grandi società hanno pagato delle multe. Ma questo credo sia un approccio ormai obsoleto: è fondamentale, come dicevo, che gli OTT vengano responsabilizzati e compartecipino allo sviluppo dell’intero settore. C’è poi anche uno scontro politico sulla cosiddetta regolamentazione europea, perché per alcune società americane un’iper- regolamentazione potrebbe spostare gli equilibri geopolitici verso il Sud-Est asiatico, dove i paletti sono molto meno stringenti. Penso invece che l’Europa abbia fatto un buon lavoro, con provvedimenti come l’IA Act e il Digital Services Act. Le regole non servono per frenare l’innovazione, ma per governare positivamente un processo».
Il senatore Gasparri ha proposto di usare una parte della somma che dovrà pagare Amazon al Fisco per sostenere l’editoria tradizionale.
«Ogni volta che queste società violano norme relative ai diritti sui contenuti ritengono che la cosa migliore sia ristorare chi ha prodotto quei contenuti, stabilizzando con accordi ad hoc ulteriori quote di finanziamento a sostegno del sistema editoriale in modo da garantire un futuro solido e di qualità».
Qual è dal suo punto di vista lo stato di salute del nostro giornalismo?
«Stiamo affrontando come governo diverse situazioni di crisi editoriali, cercando di sostenere in ogni modo l’informazione. Allo stesso modo gli editori devono continuare a innovare le loro strutture per restare al passo coi tempi e con i bisogni dei cittadini. I giornalisti, in un panorama diffuso di fake news e deep fake, avranno sempre un ruolo fondamentale di argine contro questi pericolosi processi, agendo con trasparenza e alla ricerca di ciò che è veramente di interesse pubblico».