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    La capacità del PD di cambiare tutto senza cambiare nulla

    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 11 Gen. 2020 alle 19:14 Aggiornato il 12 Gen. 2020 alle 07:14

    Niente, sembrano non imparare mai. E così a pochi giorni dalle importanti elezioni in Emilia Romagna (che avranno sicuramente ricadute nazionali) Nicola Zingaretti decide di rilasciare un’intervista a Repubblica in cui si lancia nel solito “cambio tutto: sciolgo il Pd e lancio il nuovo partito”, subito corretto (nello spazio della stessa intervista, di solito avveniva invece qualche giorno dopo) in un “non penso a un nuovo partito, ma a un partito nuovo”.

    La notizia ovviamente è ghiotta: ogni volta che il Partito Democratico promette di rifondarsi si innesca un meccanismo sempre uguale a se stesso, perfino con gli stessi personaggi, che accende gli stessi entusiasmi e le stesse polemiche. Peccato che ogni volta poi finisca anche nello stesso modo, ovvero nessuno.

    Per carità, è sacrosanto che il segretario Zingaretti coltivi l’invidiabile ambizione di rendere il Partito Democratico “aperto” a tutti coloro che in questi anni hanno smesso di riconoscersi (e il crollo dei voti dovrebbe fare riflettere visto che tutti sembrano preoccuparsi solo dei crolli degli altri) ma non si può non notare il solito errore di comunicazione che ripropone un PD già vecchio anche solo nel modo di volersi annunciare nuovo: se il Partito Democratico vuole davvero aprirsi non deve fare altro che mostrarsi accogliente nei confronti delle tante forze civiche e politiche che da tempo non trovano terreno fertile nel partito e se davvero vuole rinnovare non deve fare altro sostituire la sua classe dirigente. Semplice semplice, liscio.

    Il cambiamento non è qualcosa che si annuncia ma è una trasformazione che si attua modificando i propri modi (e nel caso di un partito anche modificando la classe dirigente): che siano sempre i soliti padri nobili ad avere un ruolo prioritario nel solito cambiamento rende il tutto difficilmente credibile.

    Forse sarebbe il caso di seguire con cura e con impegno le prossime elezioni regionali (Emilia Romagna e Calabria non sono sfide da poco) e lavorare per essere riconoscibili come diversi dal Partito Democratico a cui eravamo abituati (sui Decreti Sicurezza ad esempio ci sarebbe l’opportunità di dare una svolta, no?). Senza preoccuparsi di messaggi pubblicitari che sono l’ennesimo attorcigliamento su se stessi. Un buon primo passo per cambiare ad esempio sarebbe smettere di annunciarlo e farlo per davvero. No? Cambiare nome e simbolo è troppo facile, così.

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