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    La stampa nel mirino e quei giornalisti uccisi in Ucraina e a Gaza per chiudere gli occhi del mondo sulle guerre

    Credit: AGF

    Dall’inizio dell’invasione russa, in Ucraina sono morti 17 reporter. Nel 2023 invece a Gaza sono deceduti più cronisti sotto le bombe di Israele che in tutto il Secondo conflitto mondiale. Così viene massacrata anche la verità

    Di Giorgio Brizio
    Pubblicato il 2 Mar. 2024 alle 09:03

    Dall’invasione della Russia in Ucraina, almeno 17 giornalisti e operatori sono stati uccisi nel tentativo di documentare il conflitto. Erano tutti ucraini o russi, tranne due statunitensi, due francesi, un irlandese e un lituano. Sono 10 in più se si considera la guerra in Donbass iniziata nel 2015, tra cui l’italiano Andrea Rocchelli. 

    Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), la Russia è uno dei Paesi che ne imprigiona di più, con almeno 22 cronisti attualmente dietro le sbarre. I due casi più famosi sono quelli della editor di Radio Free Europe, Alsu Kurmasheva, tenuta in custodia da ottobre, e del reporter del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, in carcere da marzo.

    Il 3 febbraio, 20 giornalisti sono stati temporaneamente arrestati per aver documentato una manifestazione contro la guerra a Mosca.

    Nel mondo, ci sono circa altri 550 reporter in prigione: oltre la metà di loro si trova in Asia, tra Cina, Myanmar e Vietnam. Elaheh Mohammadi e Niloofar Hamedi sono state rispettivamente condannate a 12 e 13 anni di carcere in Iran, Maryna Zolatava, Liudmila Chekina e Valeria Kastsiuhova a 10 in Bielorussia e Floriane Rangabiye in Burundi ad altrettanti.

    Se nel 2022 il conflitto in cui sono stati uccisi più giornalisti è stato quello russo-ucraino, nel 2023 quello israelo-palestinese non ha avuto eguali: sono morti più giornalisti a Gaza sotto le bombe israeliane che in tutta la Seconda guerra mondiale. 

    Secondo la Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj), nel 2023 sono stati uccisi 120 lavoratori del settore, tra cui 75 palestinesi, 4 israeliani e 3 libanesi. 

    L’esercito israeliano in questi pochi mesi ha ucciso circa 29mila persone e 120 giornalisti e giornaliste: più o meno cinque a settimana. Nei 6 anni della Seconda guerra mondiale, 69 giornalisti hanno perso la vita.

    Ahmad Bdair è stato ucciso nei pressi dell’ospedale Al-Aqsa. Heba Al-Abdallah è stata colpita, assieme a tutta la famiglia, nella sua casa a Khan Younis. Lo stesso è accaduto a Muhammad Jamal Thalathini. 

    Mentre viaggiavano su una macchina vicino a Rafah, sono morti Mustafa Thuraya di Afp e Hamza Al Dahdouh, figlio di Wael Al Dahdouh, corrispondente capo di Al Jazeera, che a causa dei raid israeliani sul campo profughi di Nuseirat e in altre zone della Striscia aveva già perso 11 familiari, tra cui la moglie Amna, il figlio quindicenne Mahmoud, la figlia di 7 anni Sham e il nipote di un anno Adam. 

    Yazan al-Zuweidi è stato ucciso nel nord di Gaza dove era tornato per vedere cos’era rimasto, Iyad El-Ruwagh e i suoi quattro figli proprio a Nuseirat, Mohammed Atallah in un campo profughi su una spiaggia, Nafez Abdel Jawad a Deir al-Balah, Alaa Al-Hams a Rafah, ultima tappa del massacro. Secondo Reporter senza frontiere (Rsf), Diaa Al-Kahlout e Said Kilani, rispettivamente corrispondenti di Al-Araby Al-Jaleed e Afp, sono stati arrestati, insultati, denudati e umiliati dalle forze armate israeliane. I loro appartamenti sono stati incendiati e le loro attrezzature distrutte. Il figlio sedicenne di Said Kilani è stato ucciso da un cecchino israeliano mentre era assieme a lui.

    Rsf ha annunciato di aver ottenuto una prima vittoria chiave rispetto ai crimini commessi contro i giornalisti a Gaza, dal momento che la Corte Penale Internazionale ha deciso di includerli nella sua indagine sulla situazione in Palestina. «I giornalisti sono protetti dal diritto umanitario internazionale e dallo Statuto di Roma, e non possono in alcuna circostanza essere colpiti nell’esercizio della loro importante missione», ha detto l’ufficio del procuratore della Corte, Karim Khan.

    In uno dei giorni di questa settimana, nel momento in cui leggete potrebbe già essere successo, si terrà un momento spartiacque per la libertà d’informazione, il Day X: si tratta del giorno in cui l’Alta Corte di Londra dovrà esprimersi sull’ultimo possibile ricorso all’estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange, che rischia fino a 175 anni di carcere per aver rivelato i crimini di guerra degli Stati Uniti documentati in 700mila file resi pubblici da Wikileaks.

    «I media hanno il dovere di pubblicare per informare la collettività» e «il mondo deve poter vedere con i suoi occhi», hanno detto rispettivamente Julian Assange e Wael Al Dahdouh, simboli della libera informazione sotto attacco.

    I giornalisti e le giornaliste sono proprio questo: gli occhi della società civile, degli attivisti, di tutte le persone inorridite dai crimini di guerra e da quello che sta succedendo a Gaza. Senza di loro, saremmo ciechi.

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