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    No, Raul Gardini non è stato una vittima del sistema

    Trent’anni fa il suicidio dell’imprenditore della chimica e delle regate. Oggi viene celebrato con benevolenza. Ma la realtà storica è tutta un’altra. Fatta di arroganza, errori, debiti. E tangenti

    Di Rinaldo Gianola
    Pubblicato il 28 Lug. 2023 alle 07:00 Aggiornato il 31 Lug. 2023 alle 19:30

    Alla fine degli anni Ottanta gli imprenditori italiani conquistavano le prime pagine dei giornali internazionali. C’era una ventata di novità, il Made in Italy coglieva successi, alcuni “condottieri” dominavano la scena. Carlo De Benedetti, nome di battaglia “l’Ingegnere”, alla guida dell’amata Olivetti e di mille altre imprese. Silvio Berlusconi, “il Cavaliere”, l’uomo che aveva regalato agli italiani il brivido indecente della tv commerciale.

    E poi Raul Gardini, “il Contadino”: guidava il gruppo Ferruzzi di Ravenna, radicato nella terra, il mare in faccia, la sigaretta accesa e una gran voglia di fare. Aveva preso le redini del gruppo dopo aver sposato Idina, figlia di Serafino Ferruzzi fondatore di un impero basato sul trading dei cereali prima di morire in un incidente aereo nel 1979.

    Per la verità Sergio Cusani, fedele collaboratore anche nei lavori sporchi, definiva Gardini “il Faraone” per la sua vocazione ad accentrare le decisioni, per la furbizia con cui elargiva la “paghetta” ai politici, per la sua arroganza verso le banche («Ai banchieri io pago le commissioni»).

    Una sera il direttore del Sole 24 Ore, Gianni Locatelli, entrò nella redazione finanza dove lavoravo e disse: «Rifacciamo il giornale: Gardini ha comprato la Montedison». Boom! Iniziò così per l’industria italiana una stagione di battaglie e di tensioni, e di grandi ambizioni deluse, mentre la Prima Repubblica consumava gli ultimi respiri in attesa di Mani Pulite. C’era stato un prologo: una grande festa a Ravenna per presentare il marchio Ferruzzi. Un’altra dinastia della «via familiare al capitalismo», come scrisse The Economist, entrava in scena. 

    Il velista del Moro di Venezia con la faccia d’attore, le signore ricoperte d’oro e broccati, soldi a go-go e idee per il futuro. Gardini voleva fare la «chimica mondiale», sosteneva che «l’agricoltura è chimica» e che questo binomio avrebbe creato lavoro e benessere.

    Aveva l’ambizione di salvare il pianeta, combattere la fame nel mondo, predicava uno sviluppo a misura d’uomo e si confrontò con gli ambientalisti italiani guidati da una giovane Giovanna Melandri per dieci ore filate in una famosa assemblea degli azionisti della Montedison. Propose di investire nei biocarburanti, pensava di spostare Porto Marghera e di realizzare un piano strategico per la soia perché l’alimentazione degli animali sarebbe diventato un enorme problema ambientale.

    Guardava lontano, ma c’era qualcosa che non convinceva nella sua visione, sottovalutava le difficoltà e gli ostacoli del presente, la necessità di rispettare gli altri interessi che nella sua bulimia di affari e potere potevano essere travolti. 

    In pochi anni, dal 1987 al 1991 quando Gardini divorzia dalla famiglia che gli revoca le deleghe, il gruppo Montedison-Ferruzzi accumula 31mila miliardi di lire di debiti, si scontra con la politica per Enimont, formata dalla chimica pubblica e da una parte dei cespiti Montedison.

    «La chimica sono io», fu la sfida di Gardini che mobilitò amici fedeli per conquistare la maggioranza di Enimont in Borsa. Gardini si illudeva che lo Stato, l’Eni, i partiti gli avrebbero lasciato la chimica italiana. La famiglia Ferruzzi accettò l’assegno da 2.800 miliardi di lire per cedere all’Eni il suo 40% di Enimont. Gardini, invece, avrebbe voluto comprare, giocare un’altra mano di poker. 

    Poi c’è il capitolo della tangente Enimont, dei 148 miliardi di lire “di provvista” pagati ai partiti, titoli di Stato in larga parte riciclati in denaro contante presso lo Ior, la banca del Vaticano. Processi e sentenze sono definitivi. 

    Raul Gardini si è ucciso trent’anni fa, il 23 luglio, dopo il suicidio a San Vittore di Gabriele Cagliari, ex guida dell’Eni, rivale in Enimont. Che si sappia, Gardini non ha lasciato lettere per spiegare il suo gesto. Fiction tv (con qualche polemica), articoli, interviste, libri lo hanno ricordato e celebrato in questi giorni. L’affetto e la stima che si possono nutrire per un imprenditore controverso non possono fare velo, però, su una realtà storica che, piaccia o no, è diversa dalla leggenda. In ogni caso, Gardini non è stato una vittima del sistema.

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