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    Crisi Israele-Gaza e il nuovo fronte di guerra: quale risposta ai raid angloamericani contro gli Houthi nello Yemen?

    Di Roberto Sciarrone
    Pubblicato il 16 Gen. 2024 alle 10:32 Aggiornato il 16 Gen. 2024 alle 10:33

    Quali i reali rischi di escalation? Quali saranno le conseguenze sulle rotte marittime del commercio? Riavvolgiamo il nastro delle ultime ore. Intanto i numeri: 73 i raid compiuti da USA e UK secondo gli Houthi, meno 40% la riduzione del traffico merci a fine dicembre 2023 attraverso il Canale di Suez, gli attacchi alle navi erano iniziati a novembre. Colpiti durante i raid l’aeroporti di Hajjah e Taiz nel sud del Paese, segnalate esplosioni nella capitale Sanaa e nelle città di Hodeidah e Dhamar. Trenta in totale gli obiettivi colpiti giovedì scorso utilizzando più di 150 missili. Da inizio novembre si contano almeno 26 attacchi con droni e missili dei miliziani sciiti yemeniti lungo l’importante rotta del Mar Rosso.

    Fin qui la cronaca. Di certo i raid hanno inferto un duro colpo alle infrastrutture delle milizie yemenite ma questi non risolveranno la crisi in corso, almeno nel breve e medio periodo. La solidarietà degli Houthi nei confronti di Hamas e l’ostilità verso Israele legano le azioni yemenite al conflitto in corso a Gaza. I miliziani yemeniti usano le armi (già dal 2021 si sono registrate azioni simili) per rivendicare i propri spazi e la diplomazia per mettere pressioni a Stati Uniti e Arabia Saudita, paese quest’ultimo coinvolto nella guerra yemenita e nel processo di pace oggi in stallo. E poi l’Iran che nell’ambito della crisi dello Yemen, dal 2015 ad oggi, ha fornito sostegno militare e supporto finanziario alle milizie Houthi. La causa di Hamas, quindi, utilizzata a giustificare l’azione dal punto di vista internazionale.

    Si è aperto un nuovo fronte? Ancora è presto per affermarlo con certezza ma i segnali sono evidenti. Parliamo di una linea marittima e commerciale di vitale importanza per i traffici tra Europa e Asia: il 12% del traffico merci globale e il 30% di quello dei container, secondo i dati diffusi dal Klel Institute for the World Economy. Diverse aziende come Tesla in Germania e Volvo in Belgio hanno interrotto la produzione. Le reazioni estere? L’Italia sceglie la cautela mentre Germania, Olanda e Danimarca hanno accettato il documento USA sui bombardamenti mentre Turchia, Russia e Hamas hanno condannato i raid angloamericani. Intanto nella notte tra il 13 e il 14 gennaio gli Stati Uniti hanno effettuati altri raid, stavolta senza l’appoggio di Londra, per indebolire le capacità militari del gruppo sciita che minaccia cargo e petroliere occidentali. Secondo Ansa nell’operazione condotta dalla Marina americana nelle prime ore di sabato il cacciatorpediniere Uss Carney ha colpito un sito radar yemenita.

    Ripercorriamo brevemente cosa sta accadendo nello Yemen dal 2015. A causa del conflitto interno in corso la situazione nel Paese è di fatto instabile, così come il funzionamento delle istituzioni. I motivi di tensione, sfociati in una guerra civile dopo la conquista di Sanaa per mano dei ribelli Houthi, hanno portato ad una guerra per procura con attori esterni. Gli Houthi sostenuti economicamente e militarmente dall’Iran contro il governo riconosciuto a livello internazionale riparato ad Aden è sostenuto da una coalizione multinazionale guidata dall’Arabia Saudita. A complicare il quadro già complesso sono intervenute altre forze combattenti, come i gruppi terroristici islamici e separatisti sostenti dagli Emirati Arabi Uniti. Intanto, in questi 9 anni, il conflitto ha provocato lo sfollamento di oltre 4 milioni di persone, secondo l’Atlante Geopolitico Mondiale Treccani, la diffusione del colera e la cronica carenza di farmaci. Dal 7 aprile del 2022 Abd Rabbu Mansur Hadi (presidente della Repubblica presidenziale dal 2012 al 2022) ha trasferito i suoi poteri a un organo collegiale guidato da Rashad Muhammad al-Alimi.

    Altri numeri. Del 99% dei 33milioni di abitanti di fede musulmana il 65% sono sunniti (in prevalenza della scuola Shiafi’i) e il 35% sono sciiti in gran parte della corrente Zaydi. La maggioranza della popolazione si identifica comunque come appartenente a una tribù. A causa della guerra in corso circa l’80% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e oltre 23milioni di persone dipendono dall’assistenza umanitaria per sopravvivere. Secondo i dati dell’UNHCR il Paese ospita 77mila rifugiati e richiedenti asilo (somali ed etiopi perlopiù). Il rapporto Freedom in the World 2023 di Freedom House classifica inoltre lo Yemen come un paese non libero con le autorità Houthi che, secondo Amnesty International, hanno violato in questi anni ripetutamente i diritti umani detenendo e perseguendo giornalisti e attivisti. Così come forti sono le violenze e le discriminazioni di genere, alle donne – ad esempio – è vietato viaggiare se non accompagnate da un uomo e sono emarginate dalla vita economica, sociale e politica del paese. Meno della metà della popolazione yemenita ha accesso all’energia elettrica e la forte vulnerabilità ai disastri climatici ha accresciuto i problemi del paese. Infine lo Yemen importa il 90% di cibo dall’estero, la guerra tra Russia e Ucraina ha provocato grandi disagi vista la percentuale di grano importata da Kiev annualmente, circa il 42%. Insomma, un paese in estrema difficoltà ma che riveste un’importanza geopolitica cruciale grazie al suo posizionamento geografico a ridosso dello Stretto di Bab al-Mandab che lo separa dal Corno d’Africa.

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