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    Piantedosi e Salvini, due ministri anti-costituzionali

    Il codice di condotta delle Ong fissa regole puntigliose per ostacolare il soccorso dei migranti in mare. Un palese oltraggio ai principi della Carta. Il risultato sono tragedie inaccettabili come quella di Crotone

    Di Paolo Maddalena
    Pubblicato il 11 Mar. 2023 alle 07:00

    Il decreto legge n. 1 del 2023, subito indicato come il “codice di condotta delle Ong”, non è affatto chiaro nelle sue disposizioni e fa pensare a quei contratti cosiddetti in fraudem legis, i quali, sotto mentite spoglie, mirano a perseguire un fine diverso da quello apparente.

    In sostanza questo decreto legge, pone le seguenti condizioni per le navi che devono effettuare il soccorso in mare: a) la nave deve essere in possesso delle autorizzazioni rilasciate dallo Stato di bandiera e dei requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione; b) le persone soccorse devono essere tempestivamente informate della possibilità di chiedere la protezione internazionale e devono subito dare i loro dati identificativi; c) il porto di sbarco assegnato dalle autorità deve essere raggiunto senza ritardo; d) devono essere fornite immediatamente alle autorità marittime o di polizia le informazioni necessarie per ricostruire dettagliatamente le operazioni di soccorso: e) le operazioni di ricerca e di soccorso non devono concorrere a creare situazioni di pericolo a bordo, né impedire di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco.

    Le violazioni di tali norme comportano pene pecuniarie e, in ultima analisi, la confisca della nave. Sono condizioni che fanno ricordare il Salvini del governo del Conte 1, che, da ministro dell’Interno, fece prevalere sulle operazioni di soccorso (fino ad allora gloriosamente portate avanti dalla Guardia costiera) le operazioni di polizia della Guardia di finanza.

    Vien fatto di chiedersi: perché tanta puntigliosità burocratica per una nave che si trova impegnata in un grave frangente? E perché tanta fretta nel raggiungere il porto di sbarco, che poi sovente è stato un porto il più lontano possibile dalla zona del naufragio, come nei casi di La Spezia, Ancona e Ravenna? E perché ci si preoccupa di non creare pericoli a bordo, più del salvataggio dei naufraghi che sono in mare?

    La verità è che questo decreto pone limiti al soccorso in mare, impedendo alle Ong di ricercare e salvare più naufraghi possibili prima di dirigersi verso l’Italia.

    Di conseguenza molti sono i principi costituzionali violati, a cominciare dai diritti inviolabili dell’uomo e dai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (articolo 2 della Costituzione).

    Netta è poi la violazione dell’articolo 10 della Carta, che rinvia, per quanto ci riguarda, alla Convenzione sul diritto del mare, la quale impone a ogni nave «l’obbligo del soccorso in mare» e prescrive agli Stati costieri di avere un «servizio adeguato e efficace di ricerca e soccorso» (articolo 98, paragrafi 1 e 2).

    L’epilogo di questa sciagurata politica è stata la tragedia della spiaggia di Crotone di domenica 26 febbraio, dove hanno perso la vita 70 persone, molte delle quali bambini, e numerosi sono stati i dispersi.

    Si indaga su chi doveva muoversi dopo la segnalazione di 22 ore prima, effettuata da un aereo dell’agenzia Frontex, e aspettiamo fiduciosi l’esito delle indagini.

    È comunque certo che questo tristissimo evento dipende da una voluta disorganizzazione del servizio, che non può restare senza risposta. E il minimo che possiamo fare è rivolgere una petizione alle Camere, raccogliendo quante più firme possibili, e chiedendo di sostituire gli attuali ministri dell’Interno e delle Infrastrutture con altri soggetti davvero capaci di svolgere le loro funzioni «con dignità e onore» (articolo 54 della Costituzione).

    Potrebbe essere il primo passo per una nuova politica nei confronti dei migranti. Ce lo chiede il grido disperato di tanti bimbi innocenti che viaggiavano verso l’Italia per fuggire dalle atrocità delle guerre e hanno trovato un Paese incapace di offrire loro l’accoglienza che meritavano e alla quale avevano pieno diritto.

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