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    Nainggolan: in difesa dell’ultimo dei geni sregolati, il Jim Morrison del calcio

    Radja Nainggolan
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 5 Ago. 2019 alle 09:39 Aggiornato il 27 Set. 2019 alle 13:31

    Oggi a Cagliari inizia i suoi allenamenti Radja Nainggolan, l’uomo che da giorni è al centro delle discussioni, sui social, in cima ai paginoni sui giornali. Torna a Cagliari, lascia l’Inter, rinuncia ad un club per nababbi in Cina che sicuramente lo ricoprirebbe d’oro, preferisce ritornare da dove era partito, dal primo capitolo della sua fortuna, dalla moglie malata di tumore, a cui vuole stare vicino.

    Dice appena sbarcato: “Grazie, ripagherò la vostra fiducia!”. Ma il motivo per cui ne scriviamo qui è che il caso di Nainggolan, detto “il ninja” non è una questione per cultori della materia e compulsatori dell’Almanacco del calcio, ma uno degli ultimi grandi romanzi non convenzionali dello star system italiano.

    Nainggolan, cacciato dall’inter (a cui pure ha regalato la qualificazione alla Champion) è la quintessenza del celebre dittico genio-e-sregolatezza. Belga, di origini indonesiane, con una sorella che gioca a calcio pure lei, una infanzia povera alle spalle, e un presente da vip, cacciato da due società per due anni consecutivi, Nainggolan torna ora come figliol prodigo.

    Famoso per le sue creste policromatiche (un anno ne ha cambiate 20 in 30 partite, ne parlerò tra breve), per le sue bravate notturne (il divorzio da Roma diventò uno sfratto dopo un video in cui appariva – diciamo – non sobrio), unico per la sua forza in campo, per la sua fantasia, per la sua generosità, per i suoi calzini strappati con cipiglio guerriero, per la sua capacità di trascinare la squadra: in Radja tutto è eccesso, in meglio e in peggio, ma soprattutto in meglio.

    Sul caso Nainggolan, due anni fa, lessi un commento meraviglioso di un interista innamorato del calcio come Michele Dalai: “Nainggolan fuma, beve e bestemmia, ma secondo me a scavare fino in fondo forse qualche difetto glielo si trova”.

    Questa battuta è una epigrafe perfetta, per una storia in cui si sono superate tutte le soglie del buonsensismo più ridicolo, nell’invettiva contro di lui: come se fisiologicamente in sistema si divertisse a perseguitare il talento non conforme.

    Finti sportivi indignati, finti moralisti che parlano di esempio negativo per i nostri figli (figurarsi), tifosi (finti anche loro, secondo me) che pretendono di fare la predica al trasgressore seriale in nome di non si sa quale precetto etico.

    Giornalisti che lo hanno dichiarato “Finito”, almeno due i tre volte. La verità è che l’etichetta con i presunti stravizi di Radja c’entra poco o nulla. Nainggolan era finito nei guai già agli inizi della carriera per via di certi eccessi, di una vita sregolata, persino per via di un litigio in strada con l’amatissima moglie.

    Nainggolan sta al calcio come gli artisti maledetti alla nouvelle vague, come Lou Reed e Jim Morrison al rock. Dire a Nainggolan di fare il bravo ragazzo sarebbe come dire all’ex leader dei Velvet Undergound di riscrivere Heroin scegliendo un titolo più politicamente corretto, dandogli una intenzione pedagogica o educativa.

    Nainggolan è antropologicamente una divinità guerriera, un genio della lampada pluritatuato, una potenza fuori controllo, esattamente come lo erano Gascoigne, Cantona, Pete Best, Maradona e tutti gli altri famosi “maledetti” del calcio.

    Ma in questa vicenda del licenziamento dall’Inter, come già nella storiaccia del video con bestemmie di Capodanno quando era alla Roma c’è anche qualcosa di più, “il Ninja” è stato la vittima, non l’attore di due sentimenti ridicoli da moralisti della rete che potrebbero colpire tutti noi: il web-guardonismo e il web-puritanesimo d’accatto.

    Si era detto in quel Capodanno di due anni fa che segnò il punto più basso della sua immagine pubblica: “Ma lui ha postato un video…”. Ebbene, Nainggolan non aveva postato un bel niente: era stato semmai quasi paparazzato dai suoi amici, era letteralmente vittima di fuoco amico.

    Era ubriaco, inconsapevole, qualcuno lo ha filmato e lo ha messo alla berlina approfittando (anche se amico, non mi interessa) del suo stato di semi-inconsapevolezza. Il web-guardone va ghiotto per questo tipo di reperti tipo “divinità nella polvere”, e il web-Moralista non vede l’ora di poterlo giudicare, di dissociarsi accigliato e severo.

    Il problema è che spesso quando parliamo di questi critici, si tratta della stessa persona. Se Nainggolan non fosse Nainggolan dovrebbe essere considerato normale che la sera di Capodanno – come chiunque altro, anche se atleta – possa fare quello che vuole: bere, ubriacarsi, sparare i botti, dire parolacce e mettersi le dita nel naso.

    Una volta l’anno, come per il Carnevale. Se qualcuno lo filma in questo stato – però – non è un problema suo, ma di chi viola la sua privacy. Due anni fa tutti piansero per Diletta Leotta, portatrice di una immagine perfetta per diventare la martire della perfidia della rete, e tutti si misero a dare addosso (all’allora) giocatore della Roma, trattato come se fosse un orco, ma in realtà messo alla berlina perché non rientrava nei canoni del politicamente corretto.

    In realtà, chi pretende di giudicare il Ninja, dovrebbe perlomeno smettere di fare il guardone. Ed ecco – invece – perché io, come tanti, da noi vado matto per Radja Naingollan. Non ho ancora visto nessuno, in serie A, capace di ripetere quel suo inconfondibile gesto atletico, il marchio di fabbrica della ditta in acrobazia.

    Lui fa così: rincorre l’avversario da dietro, strappa e aggancia il pallone in scivolata (e fin qui siamo su questo pianeta) ma poi non si ferma si rialza in corsa e, palla tra le gambe, riparte (questa è fantascienza).

    A Empoli, una volta, andò in scena una variante: Nainggolan si era esibito nella sua “scivolata strappapalla”, l’avversario aveva provato a fare fallo per stenderlo, l’arbitro aveva visto e fischiato, ma lui si era arrabbiato perché era già ripartito palla al piede verso la porta avversaria.

    Una scena fantastica vederlo sbraitare. Prodigioso. E andiamo al cuore dell’immagine del personaggio, alla sua bandiera tricologica. Quando usiamo l’espressione “alzare la cresta”, in italiano, pensiamo subito alla superbia.

    Quando diciamo “fare la cresta” pensiamo ovviamente al furto. Ma adesso, se diciamo “cambiare la cresta”, oggi, dobbiamo pensare (in positivo) e a una sola persona al mondo: il Ninja. Ovvero all’uomo che ha inventato una nuova arte, trasformando il proprio corpo in una installazione permanente.

    Certi tagli di Radja Nainggolan dovrebbero essere esposti nelle gallerie d’arte moderna o al Moma di New York. Dire addio a quei capelli, per i tifosi nerazzurri (come già però i giallorossi) sarà come dire “Addio ai monti” per Lucia Mondella.

    Dire addio alle sue creste, per chi ha Radja nel cuore, sarà come condannarsi ad un vecchio rimorso, o ad un vizio assurdo. Vedere una cresta di nuovo virata in rossoblù, sarà come per i divorziati vedere l’ex moglie sotto braccio con un altro, e per i tifosi del Cagliari come girare con una diva al fianco.

    Se non altro perché la domenica calcistica si anima sempre (anche) per l’attesa dei piccoli dettagli, rituali guerrieri, di Nainggolan. Parlo degli immancabili calzettoni strappati sul polpaccio posteriore (stile incredibile Hulk) e delle invenzioni del suo parrucchiere personale, che Radja esibisce da sempre su Instagram con questo appellativo vezzeggiativo “Ecco il mio top Barber!”.

    Durante l’ultimo campionato si è capito che l’artista-parrucchiere lavorava con un progetto tricologico programmato con la stessa cura di un piano quinquennale: si partiva in una giornata qualsiasi con cresta tradizionale gialla stile Arrapaho, si passava all’evoluzione cromatica giallorossa, si arriva alla cresta Ninja più codino pendulo (da cui un anno, alla Roma, nacque lo sfottò del compagno di squadra Diego Perotti “Ma tu lo hai pagato questo parrucchiere?”) per poi passare a una nuova variazione di stile bricromatica con la cresta metà bionda e metà nera.

    Una acconciatura simile, un anno, procurò a Radja un memorabile ululato dalla Tribuna Tevere: “Ah Radjaaaa! Ma che te sei sparmato er ciao cream sulla boccia??”. All’Inter per ogni taglio si formava una fila di aspiranti selfisti.

    Pensavano di aver visto tutto, e invece su Instagram – prima di una storica partita con la Juve – arrivò un video in cui Radja entrava nel negozio del suo personal e si cimentava nel “cut challenge”, scotennando lui stesso alcuni tifosi adoranti (che cercando di emularlo rimanevano, poverini, storpiati ma contenti, con cresta e ciuffetti).

    Il tutto era accompagnato dalla colonna sonora di Fidelio, con conto alla rovescia di 90 secondi. Di fronte alla improbabili treccine bionde ci si interrogava se fossero vere o extension. Mentre prima di una partita con l’Udinese il mitico spazzolone si coloro addirittura di arancione fluo – d’accordo con lo sponsor – per pubblicizzare degli scarpini di identico colore.

    Scherza con i fanti, ma non con i santi, io stesso dopo aver contemplato una scioccante rasatura totale mi ritrovai convinto che il taglio fosse coinciso con un calo di forma atletica, forse perché siamo cresciuti con il mito di Sansone, destinato a perdere la forza dopo aver subìto il taglio della chioma.

    La cresta però non è solo un fregio, ma uno stile di gioco: un’idea estetica di se stesso. Ecco perché questo movimento di mercato non riguarda solo il Cagliari (che grazie a lui farà sicuramente il tutto esaurito), non riguarda solo l’Inter o La Roma, e nemmeno solo chi ama il calcio.

    Nainggolan è uno spettacolo, un bene rifugio, una felice anomalia, una bandiera di trasgressione: sta lì a ricordarci che il mondo non è ancora finito e che il grande spettacolo della vita continua. Seguitelo, godetevelo, tifate per lui di qualsiasi squadra siate. Non è un regalo che fate al Ninja e alla sua leggenda. Ma a voi stessi.

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