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    Monti, Giorgetti & Co: quelli che preferiscono Draghi alla democrazia

    Credit: Ansa

    Il sogno proibito delle classi dirigenti regressive è superare Costituzione e voto per allungare la vita ai tecnici. E a Draghi

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 2 Dic. 2021 alle 17:41 Aggiornato il 2 Dic. 2021 alle 17:42
    Democrazia, che brutto impiccio. Chiamatela pure, se volete, la Restaurazione “in guanti di velluto”. Perché si tratta di un sentimento in apparenza impalpabile, come un venticello, ma in realtà letale, come un veleno. Uno stato d’animo, che di questi tempi attraversa di continuo le classi dirigenti italiane, diventa battuta pop, e subito dopo si muta in ideologia, un pensiero indecente: nasce come una boutade, ma si fa dogma. L’ultimo campione di questa nouvelle vague regressiva è stato il senatore a vita Mario Monti, con la sua celebre esternazione a In Onda: «Servirebbero metodi meno democratici – ha detto l’ex premier, come se si trattasse di una facezia – per la somministrazione dell’informazione». Subito dopo, qualora il concetto non fosse abbastanza chiaro, Monti ha aggiunto: «In una situazione di guerra si devono accettare delle limitazioni alle libertà». Miele per le orecchie dei no vax, che hanno gridato alla bestemmia, ma (a ben vedere) parole inquietanti per tutti. Il tema  non è nuovo, e riguarda il complicato rapporto tra politica e informazione, nel tempo della crisi. Si fa strada in molti la convinzione che il governo tecnico non vada “disturbato”. E che comporti, quasi in automatico, la soppressione della volontà popolare: in primo luogo quando i tecnici si occupano della pandemia. E poi ogni volta che si creano problemi di consenso (dalle tasse alle pensioni). Così i dubbi delle inchieste giornalistiche di Report sulle modalità della seconda dose vengono etichettati come «campagna no-vax» dai parlamentari di Italia Viva Michele Anzaldi e Davide Faraone (che hanno addirittura presentato una interrogazione parlamentare sul programma di Sigfrido Ranucci). E molti osservatori politici, posti di fronte al paradosso di un governo, e di una classe dirigente, che (a partire da Mario Draghi) prima o poi dovrebbe sottoporsi al vaglio della legittimazione popolare, quasi inorridiscono. Arrivano in questo modo addirittura a teorizzare il ribaltamento del tavolo, chiedendosi: perché, piuttosto, non sospendere questa faticosa e fastidiosa incombenza che è la democrazia parlamentare?
    “Vogliamo i colonnelli”
    Il primo dibattito su questo tema lo ha innescato su La Stampa un editoriale di Marcello Sorgi, che si è spinto per la prima volta fino ad augurarsi l’avvento di «un governo di generali». Come in Vogliamo i collonnelli di Mario Monicelli. Infatti, dopo aver chiarito che «di una crisi non c’è nessuna voglia» e dopo aver avvertito che sarebbe stato «sbagliato immaginare Mattarella con le mani legate, durante il semestre bianco», Sorgi era passato ad analizzare lo scenario che si poteva creare se il premier fosse stato costretto a dimettersi. In quel caso, secondo l’editorialista, «Mattarella rinvierebbe Draghi immediatamente alle Camere, mettendo i partiti di fronte alle loro responsabilità e la confusione cesserebbe tutt’insieme». Subito dopo, Sorgi introduceva (definizione sua) «il periodo ipotetico dell’impossibilità» aggiungendo il passaggio fatale: «Metti anche che in un intento suicida gli stessi responsabili delle dimissioni insistessero per mandare a casa il banchiere». Ebbene, in questo caso, concludeva, «non resterebbe che mettere su un governo elettorale, forse perfino militare, com’è accaduto con il generale Figliuolo, per le vaccinazioni. A mali estremi, estremi rimedi. Anche se non è affatto detto – concludeva Sorgi – che ci si arriverà».L’editoriale, quando appare, suscita un pandemonio in rete. E la polemica spinge Sorgi a spiegare «che si trattava solo di un paradosso». Ma in realtà quel fondo dà voce a una convinzione che negli ambienti di Palazzo serpeggia da tempo, e forse rompe anche un tabù. Così, a novembre, il ministro leghista Giancarlo Giorgetti rincara la dose con una intervista clamorosa in cui – per risolvere il solito problema del mandato democratico – teorizza il superamento della Costituzione. Giorgetti, intervistato da Bruno Vespa lancia la bomba: «Mario Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale».
    Presidenzialismo de facto
    Il ministro dello Sviluppo economico prospetta l’idea di un uomo solo che diventa magicamente sia capo dello Stato che del governo: «Già nell’autunno del 2020 – dice – spiegai che la soluzione sarebbe stata confermare Mattarella ancora per un anno. Se questo non fosse possibile, va bene Draghi». E il governo? Ecco la perla: «Draghi potrebbe guidare il convoglio anche da fuori». Poi, prevenendo l’obiezione di incostituzionalità: «Sarebbe – ipotizza il leghista – un semipresidenzialismo “de facto” in cui il Quirinale allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole». Fantastico Giorgetti: «Draghi così baderebbe anche all’economia». E tutti vissero felici e contenti. «De facto». Intanto, dopo le parole di Monti sull’informazione, arriva un sorprendente giro di vite nelle tv: Report processato per un dossier anonimo portato in Parlamento da Italia Viva. E un’indiscrezione (non smentita): i programmi di Mediaset di Mario Giordano e Paolo Del Debbio (considerati dall’azienda troppo «populisti» e  «no vax») sarebbero sospesi sino a fine gennaio «per non turbare le Quirinarie». Il cerchio si chiude: in un unico cortocircuito si mescolano i destini dei vaccini, del Colle e di Palazzo Chigi. Ed è davvero difficile tenere dritta la barra tra chi pretende di occupare le istituzioni e chi sogna di esautorarle in nome della tecnocrazia “dei migliori”. Senza più doversi preoccupare, ovviamente, della fastidiosa pratica del consenso.
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