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    Meglio tardi che mai (di G. Gambino)

    Di Giulio Gambino
    Pubblicato il 10 Dic. 2021 alle 15:27 Aggiornato il 13 Gen. 2022 alle 15:41
    Il primo a dire “No” al governo di Mario Draghi, se si esclude Nicola Fratoianni che ha votato contro la fiducia in Parlamento, è stato Maurizio Landini, segretario nazionale della Cgil. Che ha proclamato per il prossimo 16 dicembre il primo sciopero generale contro il governo Draghi da 10 mesi a questa parte. Meglio tardi che mai. Prima d’ora non una critica, non una manifestazione, non un atto politico. Nulla nel merito. Il che, pandemia a parte, deve far riflettere. Così come fa riflettere il fatto che il nostro premier, da febbraio scorso, non abbia ancora trovato il tempo di sedersi a tavolino con un giornalista per un’intervista politica sul suo operato.E allora va da sé che nel clima idilliaco che solitamente sulla stampa italiana accompagna ogni parola del Presidente del Consiglio, la notizia annunciata da Landini nel tentativo di intervenire sulla legge di Bilancio ha suscitato un malcelato sentimento di sconcerto.

    Questo perché, nella settimana in cui le tariffe esplodono, in cui il ministro dell’Istruzione promulga una circolare sulle quarantene e la ritira 24 ore dopo, lo strappo di Landini e la convocazione di uno sciopero nazionale di otto ore a Roma e in altre città insieme alla Uil di Bombardieri sono una tegola inaspettata per Draghi e i suoi ministri.Il copione è sempre lo stesso: la stampa segue la buona regola di ignorare le gaffe dei draghisti (almeno finché è possibile) e quando diventa inevitabile attribuirle a qualcuno, le accolla sistematicamente ai ministri “scemi” (che poi vengono sempre salvati in calcio d’angolo dal provvidenziale intervento del presidente del Consiglio).Pensateci: fu già così per le gaffe su AstraZeneca (attribuite a Speranza), fu così per quelle più recenti sulle bollette (colpa di Cingolani) e fu così anche per la clamorosa retromarcia sulla riforma della Giustizia (errore messo in conto alla Cartabia).In un clima simile, ecco perché Landini stupisce. A maggior ragione poi se il leader sindacale – al contrario di tanti altri critici, a partire da Salvini –  non si è fermato a metà strada.

    Sin dall’estate Landini denunciava l’assenza di qualsiasi dialogo tra governo e sindacati, ma questo non ha impedito alla Cgil di diventare un bersaglio politico e, per Forza Nuova, persino militare con l’assalto a Corso Italia.Poi, sul tema pensioni, il tenore dei rapporti tra Palazzo Chigi e i confederali è precipitato ai minimi storici. L’ennesima prova, se mai ci fosse ancora bisogno di chiarirlo, che questo governo non ha un’anima, è l’esecutivo di tutti quindi di nessuno, e proprio per questo a-politico. Ma non privo di una visione marcatamente liberista.La proposta di “Quota 102” (che dura solo un anno) è sembrata a Landini poco più di una presa in giro per mascherare uno scalone previdenziale.

    Così per mesi il leader rosso ha provato a portarsi dietro tutti e tre i sindacati confederali, rinunciando allo strappo definitivo per non rompere il fronte unitario. Poi ha capito. La Cisl, come gli spiegava il suo leader, “non poteva rompere”. Quando è arrivato l’ennesimo dietrofront, con la retromarcia sulla mini-riforma concordata sul fisco, il sindacalista ha convocato lo sciopero, anche se al suo fianco ci sarà la sola Uil. Meglio soli che male accompagnati.

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