Confesso che anch’io, al pari di Maurizio Maggiani (La Stampa, 29 settembre 2025), dopo essermi occupato a lungo del G8 di Genova e delle sue conseguenze, avevo messo una pietra sopra al concetto di speranza, almeno se per speranza si intende l’idea di una “ripoliticizzazione” della nostra società e, di conseguenza, di un pieno ritorno alla democrazia. Poi, però, è arrivata la Flotilla e con essa la mobilitazione in favore del popolo palestinese, specie dopo l’abbordaggio da parte dell’esercito israeliano delle barche che volevano far rotta verso Gaza per rompere un assedio che si consuma sotto i nostri occhi, in barba a ogni principio sancito dal diritto internazionale. E soprattutto sono arrivati i giovani: nelle scuole, nelle università, nelle strade, nelle piazze, ovunque. Una marea umana che si è riversata nelle nostre città rendendole più belle, più vive, finalmente partecipi della storia e di un dramma che ci riguarda da vicino.
«Un altro mondo è possibile», insomma, come si diceva ventiquattro anni fa, ai tempi del movimento alterglobalista, quando la generazione dei genitori venne massacrata lungo le vie del capoluogo ligure, alla Diaz e nella caserma di Bolzaneto, inaugurando il ventennio dello strazio e della resa.
Ebbene, ora che la storia è tornata a bussare alle nostre porte, dimostrando di non essere per nulla finita, una nuova generazione si è messa in cammino. Lo ha fatto e lo sta facendo nonostante il Decreto Sicurezza e la presenza al governo di una destra assai peggiore di quella quella berlusconiana. Lo ha fatto per disperazione, per rabbia, forse per non darla vinta al destino. Sia come sia, d’ora in avanti nessuno potrà più ignorarla.
Certo, le differenze rispetto ad allora sono tante, a cominciare dalla mancanza di partiti seri, concreti e organizzati e di sindacati in grado di esercitare a pieno il proprio ruolo. Mancano inoltre le sedi fisiche, una parte del confronto si è spostata sui social e nelle chat di WhatsApp e non c’è dubbio che tutto questo abbia generato disillusione e spaesamento. E però diciamo anche che non possiamo essere noi che abbiamo già fallito a impartire lezioni a chi non ha ancora iniziato e ha tutto il diritto di seguire il suo percorso, fatto di slogan, modalità di protesta e parole d’ordine alquanto diverse rispetto a chi è comunque figlio del Novecento e ha ancora in mente forme di organizzazione e di lotta che, probabilmente, non sono più adatte all’evo contemporaneo.
Lasciatemi dire, con una punta di orgoglio, di essere stato fra i sostenitori della tesi secondo cui quelli di Genova fossero semi, dubbi e riflessioni destinati, prima o poi, a ricomparire sulla scena pubblica, in quanto la critica a una globalizzazione ormai insostenibile è un qualcosa che va al di là di ogni appartenenza politica. È un po’ come il quarto d’ora granata: accade quando deve accadere ed è uno spettacolo che non è semplice da descrivere a chi non c’era o ha preferito tenersi in disparte.
Va detto anche, tuttavia, che lo spontaneismo è molto bello ma da solo non basta. O queste ragazze e questi ragazzi troveranno a breve una rappresentanza politica, un partito disposto a prendersi cura di loro e, possibilmente, un’intera coalizione disposta a costruire insieme l’alternativa o la reazione dell’ordine costituito sarà spietata. Li reprimeranno, li metteranno a tacere, faranno in modo che la loro passione politica e civile, il loro impegno sincero e disinteressato e la loro attenzione ai problemi del mondo vengano meno. Ecco, se c’è un rischio che accomuna i giorni che stiamo vivendo all’estate di Genova di ventiquattro anni fa, è proprio questo.
Quella generazione, padri e madri dell’attuale, non ha trovato spazio ma solo precarietà e rifiuti e in tanti, troppi casi ha preferito il silenzio. Oggi, però, rimanere in silenzio non è più possibile e così i loro figli, cresciuti fra crisi, guerre e incertezza diffusa, hanno deciso di odiare l’indifferenza e di dire la propria, costi quel che costi. Se può nascere un’alternativa credibile a Meloni, dunque, è in quelle piazze. Altrove ormai è rimasto solo il vuoto.
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