C’è un settore che sta ridisegnando il futuro dell’economia globale, attirando sempre più l’interesse degli investitori, delle istituzioni pubbliche e delle potenze geopolitiche. Non è la tecnologia, né l’intelligenza artificiale, e nemmeno l’energia: è il mondo, apparentemente solido e concreto, delle infrastrutture.
Secondo l’ultimo rapporto agli investitori di BlackRock, entro il 2040 il mondo avrà bisogno di oltre 68 trilioni di dollari in nuovi investimenti infrastrutturali. È una cifra che supera di gran lunga il PIL attuale di intere macroregioni e che evidenzia una verità sempre più lampante: le infrastrutture non sono più semplici strumenti di servizio, ma leve strategiche per la competitività, la sostenibilità e la sicurezza di ogni Paese.
Le infrastrutture oggi non sono solo strade, ferrovie o ponti. Sono piattaforme ibride che intersecano tecnologia, mobilità, logistica, energia e dati. Le autostrade non servono più solo a far scorrere le auto, ma a reggere reti di trasporto intelligente. Le linee ferroviarie sono sempre più concepite come spazi di innovazione, al centro di progetti di decarbonizzazione e connettività regionale. Gli aeroporti diventano snodi di filiere economiche intercontinentali. Le reti elettriche, a loro volta, si trasformano in ecosistemi digitalizzati, capaci di bilanciare in tempo reale produzione e domanda energetica da fonti rinnovabili.
Nella classifica delle priorità, le strade occupano il primo posto. Questo non sorprende, se si considera che gran parte del traffico mondiale – sia merci che passeggeri – si muove ancora su gomma. Ma c’è di più: le reti stradali sono al centro delle strategie di collegamento tra aree urbane e rurali, sono essenziali per l’accesso ai servizi e giocano un ruolo cruciale nei modelli di mobilità integrata del futuro (veicoli elettrici, guida autonoma, smart road).
Le ferrovie si piazzano al terzo posto, in una corsa guidata dalla crescente esigenza di soluzioni di trasporto sostenibili. L’alta velocità ferroviaria, la logistica su rotaia e le connessioni transfrontaliere sono strumenti sempre più centrali per abbattere le emissioni, ridurre la congestione urbana e connettere territori finora marginalizzati.
In questo senso, il fascino del settore infrastrutturale oggi non risiede solo nella sua dimensione fisica. È un settore a tripla leva: economica, sociale e ambientale. Partiamo dal primo. Ogni euro investito in infrastrutture genera ricadute su occupazione, produttività e valore immobiliare. I progetti infrastrutturali ben pianificati creano indotto, rilanciano aree depresse e stimolano l’innovazione industriale. Esiste una rilevanza anche sociale perché garantiscono accesso equo a servizi fondamentali: mobilità, istruzione, salute. Sono strumenti di inclusione e coesione, soprattutto in contesti urbani complessi o in territori periferici. Infine il fattore ambientale. Reti energetiche resilienti, trasporti a basse emissioni, infrastrutture verdi e digitali sono essenziali per centrare gli obiettivi climatici globali.
Questo boom infrastrutturale avviene in un contesto in cui torna centrale il ruolo dello Stato come investitore, regolatore e garante. Ma, al contempo, cresce la partecipazione del capitale privato, attratto dalla natura stabile di tali investimenti.
In particolare i grandi asset manager globali stanno aumentando l’esposizione su infrastrutture, materiali digitali ed energetiche. Non è solo una questione di rendimento: è una scommessa di lungo termine sulla resilienza dei sistemi economici.
Per l’Italia tutto ciò rappresenta tanto una sfida quanto un’enorme opportunità. Il nostro Paese, con il suo deficit storico di manutenzione e la necessità di colmare il gap infrastrutturale Nord-Sud, ha davanti una stagione potenzialmente straordinaria di rilancio.
Il PNRR, sia pure con molteplici criticità e incapacità di spesa, ha messo in moto alcune decine di miliardi in opere strategiche. Ma non basta. Serve una visione complessiva che sappia guardare oltre il 2026, investendo con costanza nella modernizzazione delle reti stradali e ferroviarie, nell’interconnessione logistica dei porti e nella digitalizzazione delle infrastrutture esistenti. E serve, soprattutto, una governance pubblica capace di selezionare progetti di qualità e attrarre partner privati con regole chiare, tempi certi e trasparenza.
Non va infine sottovalutato l’aspetto geopolitico della questione. Le infrastrutture sono diventate strumenti di influenza e competizione strategica tra grandi potenze. La Cina lo ha dimostrato con la Belt and Road Initiative. In questo scenario, chi controlla le infrastrutture – o chi investe in quelle giuste – avrà un vantaggio competitivo decisivo nel prossimo decennio.
Se il Novecento è stato il secolo dell’industria (e della finanza), questo si annuncia come quello delle infrastrutture (e della finanza). Dietro ogni ponte, ogni galleria e ogni binario ad alta velocità non ci sono solo ingegneria e cemento, ma scelte politiche, strategie economiche e visioni di lungo periodo. Investire oggi in infrastrutture – a patto che avvenga in modo intelligente – significa costruire il mondo di domani.