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    Quanto durerà ancora il letargo della sinistra?

    Le regionali hanno confermato che le destre sono senza rivali. La sinistra è smarrita, divisa, incapace di parlare alle persone

    Di Rinaldo Gianola
    Pubblicato il 19 Feb. 2023 alle 07:00

    Dobbiamo abituarci a un’Italia senza sinistra? Dopo il trionfo di Giorgia Meloni alle elezioni politiche del 25 settembre 2022, il risultato del voto regionale di domenica scorsa ha confermato l’onda lunga della destra che ribadisce il pieno controllo della Lombardia, dove governa da quasi trent’anni nella versione leghista e berlusconiana, e la riconquista del Lazio, guidata fino all’altro ieri dal democratico Nicola Zingaretti, che si è dimesso prima della fine del mandato per occupare un posto da parlamentare.

    Ci si può lamentare, di nuovo, che le forze progressiste continuano a presentarsi divise. Si può ricordare che, numeri alla mano, Pd, ex grillini e il duo Calenda-Renzi non vanno da nessuna da parte se restano soli, che l’astensionismo record penalizza la sinistra, che i candidati sono stati individuati troppo tardi, in “zona Cesarini”, che il sentimento e la pancia del Paese vanno a destra, senza distinzioni tra leghisti, fascistini (copyright: Fedele Confalonieri), reduci delle cene eleganti di Arcore.

    Certo, queste motivazioni contribuiscono a spiegare le sconfitte pesanti in Lombardia e nel Lazio, ma c’è di più. La sinistra svanisce nel Paese, non riesce a parlare alle persone, non incide nella società, rimane distante da passioni, problemi, tensioni vissute dai cittadini.

    Un simulacro di sinistra appare solo, sotto le vesti di altri, nelle provocazioni da oratorio o nei sermoni costituzionali di Benigni a Sanremo. Ma l’audience non porta voti. Il Pd è arrivato impreparato, indifeso, impaurito al voto regionale dopo la batosta delle elezioni politiche.

    Ma sono passati cinque mesi dalla sconfitta di settembre, che seguiva quella netta del 2018, e ancora oggi è in carica il segretario Enrico Letta, che non parla in attesa che dalle primarie, tra pochi giorni, esca il nuovo leader portatore di un’altra strategia e speriamo dotato di poteri taumaturgici.

    Non si capisce perché Letta non abbia tolto il disturbo subito, non si comprende perché il gruppo dirigente del partito non abbia prodotto un’analisi profonda, seria sulle ripetute sconfitte del Pd, sull’incapacità di stringere alleanze, di proporre piattaforme politiche aperte che possono essere condivise.

    A chi parla il Pd? Dove vuole andare? Quali sono i riferimenti nella società? Non si sa. Non è il partito del lavoro, non è il partito dei diritti, non difende gli operai che sono ancora il 30% degli occupati in Italia. Donne e giovani restano lontani. La vocazione europeista è messa a dura prova dagli scandali di ex parlamentari a Bruxelles, corrotti e corruttori.

    Si potrebbe, almeno, riprendere la battaglia politica, culturale, ideale per difendere la Liberazione, l’antifascismo, la Costituzione, insomma parliamo dei fondamentali, non di fare la rivoluzione.

    I temi non mancano. C’è l’inflazione vicina al 12%, abbiamo il tasso più basso di occupazione giovanile e femminile in Europa, l’evasione fiscale è da primato in un Paese dove lavoratori dipendenti e pensionati garantiscono ben l’85% del gettito Irpef alle casse dello Stato, mentre altre categorie se ne fregano. Non sono questi argomenti abbastanza forti per dare battaglia, per costruire una politica radicale, credibile, efficace contro le disuguaglianze, le ingiustizie? Invece, niente. Una sofferenza continua.

    Finora il Pd è stato al governo pur perdendo le elezioni, ha votato per Conte, si è innamorato di Draghi e della sua agenda, oggi gli ex ministri del Pd costretti a lasciare il posto hanno lo sguardo perso nel vuoto, si scrutano nel monitor di Vespa e non si riconoscono più.

    Un malinteso senso di responsabilità e l’aspirazione al governo intesa come occupazione del potere, anche quando non c’era il mandato degli elettori, hanno portato risultati tragici per i democratici, che ora non possono lamentarsi di essere stati abbandonati dai loro elettori.

    Ma perché i cittadini progressisti, quelli di sinistra, quelli dei bar o delle Ztl dovrebbero precipitarsi a votare per il Pd, per non parlare di Conte o di quei fenomeni del Terzo Polo? Non resta molto tempo per raddrizzare la barca.

    La speranza è legata a un capitano temerario, una squadra affidabile e all’impegno di molti per affrontare questi mari procellosi. Nei prossimi giorni vedremo a chi tocca.

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