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    Lettera a TPI: “Schlein mi ha deluso, ecco perché lascio il Pd”

    Credit: AGF
    Di Redazione TPI
    Pubblicato il 8 Set. 2025 alle 12:40

    Riceviamo e pubblichiamo di seguito una lettera inviata alla redazione da Francesco Miragliuolo.

    Nel 2022 ero tornato nel Partito Democratico insieme ai compagni e alle compagne di Articolo Uno, convinto che fosse possibile ricostruire un partito ecologista, pacifista, radicato nei valori di eguaglianza e rinnovamento, capace di rinnovare i propri vertici attraverso modelli trasparenti e partecipati di selezione della classe dirigente. Pochi mesi sono bastati per capire che la nuova leadership di Elly Schlein era solo l’ennesimo specchietto per le allodole. Una figura presentata come la svolta, la meteora destinata a riportare il PD a sinistra, ma precipitata al suolo ancor prima di brillare, scegliendo di replicare le peggiori logiche e pratiche del passato.

    Emblematica è stata la posizione su Gaza: dietro al richiamo al “diritto di difendersi ed esistere” di Israele – formula ambigua che nei fatti legittima un genocidio contro il popolo palestinese – e dietro alla recitazione meccanica del mantra “due popoli, due Stati” – bandiera di un sionismo liberale che anestetizza le coscienze con la promessa di una pace futura mentre l’occupazione avanza – si è celata la stessa ipocrisia di sempre.

    Un’ipocrisia visibile negli incontri ufficiali di esponenti PD con organizzazioni e rappresentanti sionisti: dalle strette di mano di Pina Picierno con l’IDSF, alle visite di Graziano Delrio al ministro degli Esteri israeliano, complice della nuova nakba palestinese. La politica estera del PD, anche sotto la guida Schlein, non ha rotto con il passato: ha proseguito in perfetta continuità con la linea di Enrico Letta, mantenendo il sostegno militare, avallando l’invio di armi e rinunciando a un ruolo attivo nella costruzione di ponti di pace, di canali diplomatici e di mediazioni concrete. E così, invece di difendere il diritto internazionale e i popoli oppressi, il PD ha scelto di allinearsi agli interessi dei forti, lasciando che la parola “pace” rimanesse un semplice slogan da campagna elettorale.

    Ma il problema non si limita alla politica estera. Schlein aveva anche annunciato la battaglia contro i “cacicchi” locali, come Vincenzo De Luca, arrivando a commissariare il partito campano. Molto presto, però, questa scelta si è rivelata un ulteriore bluff, pensato più per tutelare i poteri forti interni che per ridare voce alla base.

    Lo dimostra l’accordo ormai chiuso con De Luca, stipulato sulla pelle dei militanti, costretti ancora una volta a subire decisioni prese altrove. Un accordo che accontenta tutti: i consiglieri regionali, complici di aver votato – in violazione dei principi di disciplina e onore – la legge sul terzo mandato e che saranno ricandidati; De Luca, che potrà continuare a usare il partito come strumento dinastico per il figlio; e la stessa Schlein, che così blinda la propria poltrona da segretaria.

    Nei due anni di segreteria, infatti, ha quasi sempre evitato di presentare mozioni alternative, preferendo accordi unitari a veri congressi. Così facendo, ha rinunciato a qualsiasi confronto interno, impedendo il ricambio generazionale e consolidando lo status quo.

    Il copione si ripete anche a livello nazionale: a un anno dalle elezioni europee, vengono candidati alla guida di alcune Regioni esponenti già eletti al Parlamento europeo, che per rispetto degli elettori dovrebbero restare al proprio posto. Invece, si trasformano le istituzioni in parcheggi temporanei, in attesa di incarichi ritenuti “migliori”, a discapito del principio di rappresentanza e dei militanti che li hanno sostenuti.

    Il Partito Democratico è così diventato un partito che utilizza i suoi iscritti soltanto come manovalanza durante le campagne elettorali e le Feste de l’Unità, riducendo la militanza a un elezionismo plebiscitario: una partecipazione elettorale di facciata, perché le scelte sono già prese altrove e la base viene chiamata solo a ratificarle.

    Per questo, dopo due anni dal mio rientro, ho scelto di andare via. Non per disinteresse verso la politica, ma perché oggi c’è bisogno di qualcosa che il PD non può e non vuole essere: un soggetto nuovo, non un’alternativa di facciata, ma una forza capace di sostituirlo e riempire il vuoto che lascia a sinistra. Un partito che non sommi debolezze, ma sappia esprimere una sintesi forte tra visione sociale, etica pubblica e progetto di governo; che unisca un modello di sviluppo realmente inclusivo a una politica estera fondata sulla pace, sulla cooperazione multilaterale e sul rispetto della sovranità dei popoli.

    Un partito che recuperi il senso nobile della radicalità politica, quella che non si chiude nella testimonianza minoritaria, ma che vuole trasformare davvero la realtà. Che sia comunità politica e scuola di formazione, in cui la militanza conti davvero e in cui la leadership si scelga per idee e capacità, non per immagine o narrazione mediatica. Che non sbandieri l’antifascismo come slogan, ma lo traduca in scelte concrete, in politiche di giustizia sociale, uguaglianza delle opportunità, dignità del lavoro e difesa attiva dei principi costituzionali.
    Francesco Miragliuolo

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