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    Facebook minaccia la democrazia, ma Zuckerberg pensa solo ai profitti

    Di Alexander Stille
    Pubblicato il 14 Nov. 2021 alle 20:33 Aggiornato il 15 Nov. 2021 alle 10:33

    Quando ho visto il video di Mark Zuckerberg che spiegava che Facebook aveva cambiato nome in Meta, mi sono chiesto se fosse uno scherzo. Nel mondo folle e surreale del 21esimo secolo sta diventando sempre più difficile distinguere tra parodie, video manipolati e realtà reale.  La risposta di Zuckerberg alle rivelazioni provenienti dall’interno di Facebook – dalla whistleblower Frances Haugen – sull’impatto dannoso del social è stata ignorare le critiche e cambiare argomento: Meta, ha spiegato Zuckerberg, deriva dalla parola greca “oltre”.

    L’aspetto più devastante che emerge dalle parole di Haugen è che Facebook, ogni volta che ha dovuto scegliere tra profitti e bene pubblico, ha scelto i profitti. La manager era stata assunta per far parte di un team di “integrità civica“. Come noto, infatti, le fake news tendono a diventare virali sui social. E più vengono condivise, più la piattaforma ci guadagna.

    In vista delle elezioni presidenziali Usa del 2020, Facebook ha cambiato il suo algoritmo in modo da favorire contenuti raccolti in modo responsabile. Ciò ha avuto l’effetto di ridurre la disinformazione, ma non appena le elezioni si sono concluse il team di “integrità civica” è stato sciolto e l’algoritmo ricalibrato per favorire la massima diffusione dei contenuti (ad esempio quelli che hanno contribuito a convincere un gruppo di manifestanti ad assaltare il Campidoglio il 6 gennaio scorso).

    È agghiacciante pensare a come un’azienda privata come Facebook possa, con poche sequenze di tasti, determinare se viviamo o no in un mondo relativamente sano in termini di dibattito pubblico. E in alcuni posti fuori degli Stati Uniti succede persino di peggio: Rodrigo Duterte, il demagogo populista presidente delle Filippine, è stato particolarmente attivo su Facebook per giustificare la sua campagna di uccisioni extragiudiziali.

    Quando la giornalista filippina Maria Ressa – premio Nobel per la Pace – ha incontrato Zuckerberg, gli ha fatto notare la grande responsabilità del social in un Paese dove il 97 per cento della popolazione si affida principalmente a Facebook per informarsi. A quel punto Zuckerberg non ha chiesto cosa poteva fare per eliminare la disinformazione, ma ha domandato: “Cosa fa l’altro 3 per cento?”.

    A Washington democratici e repubblicani stanno discutendo di come tenere a freno Facebook e le altre grandi aziende tecnologiche, ma non sono certo che vedremo un cambiamento significativo: Facebook e Amazon spendono in lobbying politico più dei giganti del petrolio e del tabacco. L’Europa ha potenzialmente un ruolo cruciale nell’imporre una certa disciplina ai social media. Così farebbe davvero “meta”. Continua a leggere sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui.

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