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    Le amministrative di domenica non sono un voto secondario

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 10 Giu. 2022 alle 15:41 Aggiornato il 10 Giu. 2022 alle 16:04

    La tornata di amministrative che quest’anno si terrà domenica 12 giugno non è storicamente quella che affascina di più i media e il pubblico, tanto più che quest’anno non offre sfide che per un motivo o per l’altro hanno rilevanza nazionale. Nemmeno la concomitanza con un referendum, anch’esso rimasto all’ombra dell’attenzione mediatica, offre a questo voto un palcoscenico privilegiato. Se poi aggiungiamo che l’emergenza pandemica seguita da quella bellica e un governo a guida tecnica hanno anestetizzato buona parte del restante dibattito politico, questo voto sembra destinato a riguardare solo le scelte dei cittadini dei comuni al voto.

    Tuttavia, nonostante i riflettori sembrino guardare altrove, questa tornata va tenuta d’occhio, come d’altronde quella di cinque anni fa. Anche quella volta, senza guerra, senza pandemia, senza governo di larghissime intese, non sembrava essere il voto più appassionante, ma ha fornito dati importanti. Perché la tornata di quest’anno, come quella del 2017, rappresenta insieme a voto d’autunno in Sicilia l’ultimo test amministrativo prima delle prossime elezioni politiche.

    Cinque anni fa, il voto nei comuni mostrò che un centrodestra in cerca d’autore aveva trovato la propria quadra con uno schema a tre punte Forza Italia-Lega-Fratelli d’Italia in cui, in assenza di una forza trascinante tra le tre, ci si affidava spesso a candidati indipendenti. Una quadra che regalò un notevole risultato elettorale, arrivando a imporsi anche in città tradizionalmente di centrosinistra, come Genova o Pistoia. Di contro, si videro tutti i limiti del centrosinistra, con una spaccatura sempre più profonda tra il PD a trazione renziana e le forze alla sua sinistra. Dal Movimento Cinque Stelle, che tranne in casi specifici come Roma e Torino nel 2016 ha spesso trovato difficoltà nel voto amministrativo, l’unico vero segnale che arrivò era una ferrea volontà di continuare a correre in solitaria ed evitare accordi con altre forze politiche.

    Circa un anno dopo, nel voto politico del 2018, il Centrodestra unito divenne la coalizione più votata, con la Lega che riuscì a emergere come principale partito dell’area, mentre il Movimento Cinque Stelle ottenne, complice la scelta coerente di evitare accordi e una proposta forte come il reddito di cittadinanza, il suo miglior risultato di sempre, il 32 per cento. Dall’altra parte, il centrosinistra vide acuirsi i limiti mostrati nel voto del 2017, con il PD ridimensionato al suo minimo storico (18 per cento) e una spaccatura sempre più netta con le forze alla sua sinistra. Come sappiamo, di lì a poco sarebbe nato il governo giallo-verde, cui ha fatto seguito quello giallo-rosso e quindi quello guidato da Draghi: il Centrodestra avrebbe visto fibrillazioni nei suoi equilibri interni, il Movimento Cinque Stelle abbandonato la sua politica di corsa solitaria, nel PD si sarebbe consumata la scissione dei renziani. Un’altra fase politica, ma il voto del 2018 aveva mostrato molti di quei segnali emersi alle amministrative dell’anno precedente.

    E dunque, da queste amministrative cosa c’è da aspettarsi? Al netto dei dati legati a dinamiche locali, sarà interessante vedere la tenuta della coalizione di centrodestra, alla ricerca di unità e con Giorgia Meloni e Matteo Salvini che si contendono il ruolo principale. C’è poi l’alleanza PD-Movimento Cinque Stelle, schierata in tutti i principali comuni ma di cui si teme per la tenuta, con i pentastellati che rischiano la marginalizzazione e divisioni sempre più evidenti. C’è poi quell’area moderata, composta da Italia Viva, Azione, Coraggio Italia e con Forza Italia che sta a guardare, che in questo voto si presenta in ordine sparso nei diversi comuni. Starà a loro capire, in base al risultato, come comportarsi tra un anno.

    Ma c’è poi un grande convitato di pietra che riguarda tutti i partiti e che non può continuare a essere ignorato: la legge elettorale. La modifica costituzionale che nel 2020 ha ridotto i parlamentari ha portato a un adeguamento forzato della legge, che tuttavia non può che avere carattere provvisorio. In base ai risultati starà ai partiti valutare se sia il caso di proporre un preciso sistema elettorale, ma la storia recente insegna che trovare una quadra su questo argomento non è mai facile, e il rischio di rimandare ancora una volta è sempre in agguato.

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