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    Caro Draghi, il Parlamento va rispettato. Intimidire i partiti non è un metodo di governo

    Di Chiara Geloni
    Pubblicato il 18 Feb. 2022 alle 15:32 Aggiornato il 18 Feb. 2022 alle 15:58

    In questa “strigliata di Draghi” troppe cose non tornano. Certo, Draghi ha ragione che così non si più andare avanti. Certo, come mi pare suggerisca Stefano Folli, una strigliata oggi può essere anche un modo per mediare domani. Tuttavia non penso che “strigliare i partiti” possa diventare un metodo di governo. E negli argomenti di Draghi, e nei resoconti che leggo, ci sono troppe cose che non vanno.

    Intanto Mattarella. Da palazzo Chigi ci suggerisce che il Quirinale abbia avallato e coperto la “strigliata”, e non c’è ragione di dubitarne. Sta di fatto però che le parole e i toni di Mattarella, nel giorno del suo insediamento, sono state ben diverse da quelle del premier. Il presidente ha detto chiaro che il parlamento non deve essere umiliato, che la ricorsa alla fiducia e alla decretazione d’urgenza è stata spesso eccessiva e che questo deve cambiare. In una sola settimana il governo Draghi, che ha la maggioranza più ampia che si ricordi, ha posto la fiducia due volte. Il ritmo è di circa una fiducia alla settimana, fra i più alti degli ultimi anni.

    Poi ci sono i fatti. Se tutta la maggioranza, tranne la Lega, vota in un certo modo sulle bonifiche dell’Ilva, forse bisognerebbe prendere in considerazione che la posizione del governo non aveva sufficiente consenso. Inoltre: inevitabile forse che il premier se deve strigliare strigli tutti, ma siamo sicuri che differenziarsi come hanno fatto tutti tranne la Lega su un provvedimento non condiviso sia altrettanto sleale che fare un blitz votando emendamenti dell’opposizione come hanno fatto Forza Italia e Lega sull’innalzamento del tetto al contante proposto da Fratelli d’Italia? Allora perché non riconoscerlo?

    Infine, gli argomenti. Spiace, ma sul piano costituzionale Draghi sta sul filo dell’inaccettabile. Dire che il governo è qui per fare le cose quindi vanno garantiti i voti in parlamento altrimenti si va a casa è al tempo stesso una banalità che vale per qualsiasi governo e un’intimidazione paradossale, dal momento che fino a diverso avviso è il parlamento che dà la fiducia al governo e non il contrario. Dire che è inaccettabile che quello che votano i ministri poi non venga accettato in toto dai gruppi è un filino troppo comodo, dal momento che il premier sa benissimo che, com’è sua facoltà, i ministri li ha scelti lui. Rispondere “non m’interessa” a chi gli obietta che è proprio per evitare reazioni negative dei gruppi che sarebbe meglio far avere al parlamento i testi con maggiore anticipo assomiglia a un “me ne frego” di non gradevolissima memoria. Non riconoscere che ci sono divisioni politiche profonde e non dare dignità alle differenze non banali tra partiti in una maggioranza composita (sul catasto, sul fisco, sulla giustizia) è segno di una rigidità mentale che con la politica ha poco a che fare. Derubricare ogni distinguo a insubordinazione e capriccio è un regalo alla propaganda antipolitica. Ostinarsi a non cambiare metodo, a non cercare un nuovo patto col parlamento dopo una serie di incidenti di percorso fa sospettare che non si cerchi la pace, ma il pretesto per la guerra.

    C’è, in certi resoconti della stampa e purtroppo anche nelle parole del premier, una voluttà nel non riconoscere mai le ragioni della politica, della rappresentanza degli interessi, della dialettica tra i partiti che prescinde dalle reali colpe dei politici. I molti meriti di Draghi e i limiti oggettivi dell’attuale rappresentanza parlamentare non possono essere negati. Tuttavia ciò non è sufficiente a rendere accettabile il commissariamento di fatto della vita politica o a rendere sostenibile un metodo di governo fondato sulle minacce e le sfuriate. Saranno i fatti a dimostrarlo, prima che gli articoli degli opinionisti, se si continua così. Scherza col fuoco chi mette i bastoni tra le ruote a un presidente del consiglio come Draghi, ma scherza col fuoco anche chi pretende di governare contro il Parlamento.

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