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    Di Maio, Azzolina, Spadafora e la lezione degli scissionisti che finiscono sempre con lo zerovirgola (di L. Telese)

    Il commento di Luca Telese

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 25 Giu. 2022 alle 13:12 Aggiornato il 25 Giu. 2022 alle 15:52

    La cosa che più stupisce, in queste ore, è vedere i media e gli opinionisti che in passato erano stati i più feroci, con tutti i dirigenti grillini, trattare gli scissionisti a cinque stelle come le foche dei circhi acquatici a cui si tira con benevolenza il pezzo di aringa e si fanno la carezza e il sorriso: “Good boy”.

    La cosa che più sorprende è che dirigenti come Luigi Di Maio, o come Lucia Azzolina, non avvertano con sospetto il rito dei vitelli grassi ammazzati per il figliol prodigo che ritorna all’ovile: gli stessi che tirarono loro badilate di letame in testa per il reddito di cittadinanza o per i banchi a rotelle adesso li applaudono perché abbandonano la loro casa. É già accaduto con decine di scissioni, si dirà. Ma non è la stessa cosa: se c’era un partito che aveva fatto della lotta e del disprezzo contro il trasformismo una bandiera questo era il M5S.

    Dunque, se un grillino diventa “ex”, non è lo stesso che se Bruno Tabacci cambia il decimo partito centrista, portando in dono, come un Re magio delle gabole parlamentari, il suo simboletto sterile (inutile per raccogliere voti, ma utilissimo una volta eletto, perché in nome dei regolamenti serve a fare gruppo). Un simbolo dello zero virgola per cento che viene offerto in dote come un regalo a chi un tempo veleggiava sopra il 30, come un prodigioso farmaco salvavita somministrato ad un malato terminale che spera di guarire.

    Ai grillini transfughi che in in queste ore lasciano la loro casa rinfacciando a Giuseppe Conte la mancanza di democrazia interna (un classico di chi parte, in ogni tempo e in ogni luogo) è inutile ricordare che Conte ha creato i primi gruppi dirigenti in un partito che non li aveva mai avuti, il primo statuto (bello o brutto, poco importa) in un movimento che si vantava di avere un non-statuto.

    Se c’è una argomentazione che in queste ore suona come moneta falsa, dunque, è quella del coinvolgimento e delle regole, per chi è cresciuto in un movimento che nella sua stagione d’oro espelleva militanti come palline di un flipper. Cosa che sanno bene Valentino Tavolazzi, Giuseppe Favia e Federica Salsi, primi martiri dell’era Grillina. La Salsi – militante integerrima, consigliera a Bologna, attivista della prima ora – fu cacciata da Beppe Grillo con un processo sommario e bollata con una infame accusa sessista dopo aver commesso questo grave crimine: aver accettato un invito di Giovanni Floris a Di Martedì. “La televisione – scrisse Grillo nel blog – solletica il suo punto G”.

    Ma a tutti questi ex grillini che oggi giustificano il loro cambio di casacca dopo aver sputato su chiunque cambiasse casacca, in queste ore, non serve evocare le argomentazioni della coerenza (che invece animano la delusione umana dei militanti), ma forse quelle del realismo. La scissione di Di Maio, infatti, ricorda – per tipologia – un episodio dimenticato della prima repubblica. La scissione di Democrazia Nazionale dal Msi. Che tuttavia aveva uno scenario molto simile: “i demonazionali” (per un fugace battito di farfalla sono esistiti pure loro) furono coltivati dalla Democrazia Cristiana e dai giornali dell’epoca con metodi di motivazioni molto simili a oggi: lasciate un inutile e residuale partito di opposizione, indebolitelo, entrate nel grande gioco delle maggioranze di governo.

    Proprio come oggi, l’argomentazione del “partito utile” ebbe molta efficacia nei gruppi parlamentari missini. Risultato: nel dicembre del 1976 la maggioranza degli eletti della Fiamma lasció il Msi tra rulli di tamburi, titoli di giornali e fanfare: il risultato fu un terremoto. Aderirono alla nuova formazione 9 senatori su 15 del MSI (che perse addirittura il suo gruppo a Palazzo Madama) e ben 21 deputati su 35 a Montecitorio. E poi, sui territori: 13 consiglieri regionali su 40, 51 consiglieri provinciali su 160, 350 consiglieri comunali su 1500. Una ecatombe.

    La maggioranza degli eletti e l’intero vertice della classe dirigente missina abbandonò i propri gruppo parlamentari e consiliari, lasciando il segretario Giorgio Almirante, solo, con un partito che si diceva condannato alla sicura estinzione. Dettaglio curioso e altra affinità con l’oggi: la rottura fu motivata con l’indisponibilità di Almirante a sostenere in Parlamento il governo monocolore di Giulio Andreotti, detto della “non sfiducia”. Ovvero: il Draghi del 1976. Risultato. I demonazionali parteciparono ad una decisiva “Costituente” aggregando pezzi di classe dirigente e altri parlamentari delle più disparate origini, si ritrovarono in un enorme gruppo pieno di eletti, che però non avevano voti, con un simbolo brutto e poco noto (un nastro tricolore).

    Ma poi, quando alla fine si arrivò alle elezioni politiche tutti gli osservatori rimasero stupiti per questo caso di scuola senza precedenti: non appena si ritornò al voto, infatti, il Msi riprese gli stessi voti che aveva avuto nelle elezioni precedenti. Mentre i demonazionali si estinsero tristemente alle politiche del 1979. Il partito degli eletti, si rivelò privo di elettori: raccolse un miserrimo 0,6 per cento senza riuscire ad ottenere un solo seggio, né alla Camera e né al Senato. Dopo un risultato analogo alle elezioni europee il partito si dissolse nel nulla, lasciando traccia di sé solo nei libri di storia.

    Ebbene, nessuno può scommettere su cosa accadrà nel M5s, dopo questo duro colpo, anche se oggi Conte ha meno mani che lo tirano per la giacca di qui è di là, esattamente come fu per Almirante nel 1976. Ed è potenzialmente libero – in Parlamento – di fare quello che vuole, senza il condizionamento dei notabili che lo hanno lasciato. Mentre invece si può già scommettere agevolmente sul risultato della nuova grande costituente di centro, dove le foche ammaestrate di quella che un tempo fu la grande rabbia grillina, si ritroveranno a votare e sostenere un unico progetto politico: il grande partito governista che verrà creato a sostegno di Mario Draghi.

    Si può ipotizzare ragionevolmente che – alle prossime elezioni politiche – molti di coloro che oggi si illudono di recuperare lo spirito delle origini, confluiranno in qualche partito contenitore in compagnia dei loro ex peggiori nemici. È già successo a molti, nella storia, tutti con la stessa illusione: scissionisti dal centro (Udr, Udeur, Cossighiani), scissionisti dal centrodestra (Alfano), scissionisti dalla destra, scissionisti dalla sinistra (Italia Viva). Tutti pensano sempre che per loro sia diverso, che per loro sia la volta buona. Invece resteranno presto senza aringhe, senza seggi. E soprattutto senza voti.

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