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    Chi (ancora) tace sugli errori di Draghi non fa il bene del Paese (di G. Gambino)

    Di Giulio Gambino
    Pubblicato il 21 Apr. 2022 alle 15:54

    Il mondo dell’informazione è talmente a pezzi che è riuscito a raccontarci per mesi un’Italia dal volto nuovo ed educato grazie all’arrivo dell’uomo ben istruito e ben vestito venuto da Marte, salvo poi recintarsi nel silenzio quando ha compreso che anche Mario Draghi è esattamente come gli altri, ora che i più fedeli sostenitori del governo del banchiere hanno iniziato a storcere il naso.

    Poco più di un anno fa, con l’insediamento del Governo Draghi, eravamo diventati improvvisamente forti e vincenti, in Italia e all’estero. Un popolo senza più problemi. La povertà? Un’iperbole usata da chi c’era prima; il digitale e la transizione ecologica le nuove priorità per rimettere in piedi il Paese. La campagna vaccinale era un successo stratosferico grazie a un generale delle forze armate, sul Pnrr avevamo finalmente la garanzia che l’uomo che aveva guidato la Banca centrale europea avrebbe portato i soldi a Roma per fare «l’Italia di nuovo grande» (Amerikani si nasce, non si diventa). Il culto di Draghi era talmente pervasivo che lui, con il solo pensiero, riusciva a far dominare l’Italia anche in ogni disciplina dello sport.

    Ora, sarà che di mezzo c’è stata una recrudescenza della pandemia e che da due mesi la guerra ha catalizzato l’attenzione mondiale, ma nel nostro Paese tutto è di nuovo fermo.

    Pur sforzandoci, a noi non appare possibile giudicare con successo l’operato di Mario Draghi sin qui. Iniziate dalle aspettative: erano talmente elevate che era difficile riuscire a non deludere. Così è stato. I primi con cui il presidente del Consiglio dovrebbe prendersela sono i suoi fan: sono loro ad averlo reso una macchietta, ad aver trasformato il culto di SuperMario nel riflesso di un uomo comune senza super poteri. Più che un premier, un «nonno al servizio delle istituzioni», come si è lui stesso definito. E in un Paese degno di esser grande un nonno non governa, sta a casa in pensione.

    L’obiezione principe a questa argomentazione è che Mario Draghi è la cosa migliore che ci poteva capitare. Perché: 1. È una garanzia di stabilità per il nostro Paese; 2. È l’unico in grado di portarci fuori dalla pandemia e assicurare all’Italia i fondi del Pnrr; 3. È il miglior italiano tra gli italiani.

    Ma, a ben vedere, il nostro premier ha commesso in questi mesi errori politici, diplomatici e comunicativi di rilievo. Che se li avesse commessi un altro qualsiasi sarebbero state riempite paginate con trattati morali sulla decadenza della classe politica italiana. Mentre se invece a commetterli è SuperMario tutto viene ridimensionato o peggio taciuto. Perché? L’inferiorità auto-indotta, fra editori di giornali e leader di vario genere, al cospetto di Draghi fa brutti scherzi e fa apparire santo chi santo non è. Draghi non può sbagliare e, anche quando un suo errore è innegabile (l’Algeria che diventa Argentina, le cifre sul gas, la pace contro i condizionatori e molto altro), lo si accetta senza colpo ferire.

    È evidente che Draghi abbia fatto ottime cose nella sua carriera, il problema è l’abnegazione culturale, whatever it takes, a un uomo che, in questo anno di governo, ha dimostrato tutta la sua inesperienza politica e ci ha dato molto poco.

    Voleva usare i partiti per finire al Quirinale e alla fine i partiti hanno usato lui. Il suo appiattimento sulla posizione Usa rischia di isolare l’Italia. Non ha una squadra di governo e alle strette si fida solo di Giavazzi, di Franco e (forse) di Garofoli. Ma probabilmente ha compreso che il Paese non si governa in tre nemmeno se sei Mario Draghi. Le grandi riforme sono arenate, il mercato del lavoro immobile e le gaffe più importanti le ha fatte proprio nella politica economica, il suo campo. Per non parlare dell’energia, di cui non ha indicato una chiara via alternativa verso cui indirizzare il Paese negli anni a venire.

    Dall’esaltazione iniziale eseguita in coro nei confronti del governo Draghi possiamo trarre una lezione nei giorni in cui si torna a parlare di resistenza. Sì, perché un’altra forma di resistenza, certo non militare ma culturale, è necessaria affinché l’Italia completi il proprio percorso di identità nazionale, emancipandosi dal conformismo nei confronti di chi detiene il potere tutto. In uno Stato di diritto esistono poteri e contro-poteri. Iniziamo con l’avere meno paura e riverenza nei confronti di chi governa ed esigiamo, nel rispetto della forma, che faccia ciò che è chiamato a fare.

    Oggi non siamo più solo noi a essere delusi da Draghi ma anche alcuni suoi insospettabili fan della prima ora. Ce ne sono molti altri che sono scontenti del banchiere, eppure ancora non se la sentono di uscire allo scoperto in questa cortina di ferro. Questo clima parla per sé. Viene da chiedersi: chi (ancora) tace lo fa davvero per il bene del Paese?

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