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    La lezione del centrodestra a Pd e M5S: per vincere bisogna anche saper costruire un’alleanza (di S. Mentana)

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 26 Set. 2022 alle 10:39 Aggiornato il 26 Set. 2022 alle 11:31

    Ha vinto la coalizione di centrodestra: come sempre ha vinto chi ha saputo parlare agli elettori, ma hanno vinto anche i partiti che sono stati in grado di parlare tra di loro. Nulla di nuovo in uno schema, quello tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, che pur con qualche fisiologico riassetto risulta consolidato da anni. Ma guardando invece cosa succede altrove, c’è da farsi molte domande.

    Il centrodestra è composto principalmente da tre partiti diversi, che su molte cose hanno fatto e continuano a fare scelte diverse, dalla politica estera al sostegno al governo Draghi. Nonostante tali differenze, hanno sempre saputo convivere in coalizione e adattarsi ai mutamenti dei loro rapporti di forza. Per il resto del panorama politico non può però dirsi lo stesso.

    Una cosa deve essere chiara: in politica 1+1 non sempre fa due. Se la formula risulta essere artefatta o di convenienza può fare 0,5, ma se funziona può fare anche 5. Ha poco senso mettercisi oggi a fare le somme matematiche tra liste diverse come se gli elettori fossero un gregge di pecore, ma ciò non toglie che ci siano ragionamenti che colpiscono.

    PD e Cinque Stelle hanno sempre avuto un rapporto complesso, iniziato con gli insulti, diventando matrimonio di convenienza e trasformandosi in una tacita alleanza che non aveva sempre trovato una semplice applicazione pratica. Se si fossero alleati, forse i Cinque Stelle portandosi il peso del PD non avrebbero visto la recente crescita in alcune aree del sud che li ha portati a vincere alcuni collegi uninominali, nonostante stiano chiudendo queste elezioni (attendiamo i dati definitivi) a meno della metà dei voti di 4 anni fa e con una percentuale più bassa delle Europee 2019. Così come, se alleanza fosse stata, probabilmente un pezzo dell’elettorato Dem ostile ai Cinque Stelle avrebbe preferito seguire le sirene del Terzo Polo.

    E anche sul polo Calenda-Renzi c’è da farsi alcune domande. Ad esempio, come mai nonostante la rottura Pd-M5S, non si è potuto creare un percorso Pd-Azione? Calenda lo ha spiegato, parlando delle differenze tra il suo programma e quello di Fratoianni e i Verdi. Ma la morale è stata che così facendo, la corsa solitaria di Calenda ha danneggiato in primis il Centrosinistra (da una prima analisi dei dati, Azione-Italia Viva va forte soprattutto dove è forte anche il PD, elemento che fa pensare che gran parte dell’elettorato delle due forze politiche sia compatibile). Un problema, in un sistema elettorale basato in parte sui collegi uninominali.

    Tra queste lotte, antipatie e incompatibilità, si è passati in tempo record dalla proposta di un campo largo a tre campi diversi che si sono combattuti voto su voto in ogni singolo collegio, lasciando che negli uninominali il centrodestra vincesse a valanga. Scelte legittime, sia chiaro: ma perché almeno due tra queste forze politiche non sono riuscite a trovare una quadra, anche parziale, dal momento che nessuna da sola può ambire alla maggioranza dei voti? Perché i partiti del centrodestra sono stati ancora una volta in grado di parlarsi e loro no?

    Ma se il valore di costruire un progetto politico è nel saper dialogare, è giusto dare un’occhiata a un altro aspetto al momento passato in secondo piano, a un’area politica che avrebbe potuto rappresentare la novità del prossimo parlamento. Si tratta di quella che molti hanno etichettato come “area del dissenso”, che alla fine ha optato per una corsa separata tra sigle diverse, come Italexit, Italia Sovrana e Popolare, Vita e Alternativa per l’Italia, tutte singolarmente sotto al 3% e quindi fuori dal parlamento ma che, con i limiti della media aritmetica applicata alla politica, insieme avrebbero potuto rappresentare oltre il 3%. Avendo svolto campagne elettorali molto simili, anche lì viene da chiedersi se non si siano parlati abbastanza per costruire un progetto comune.

    Sarà che la politica sta diventando sempre più una conta del consenso personale, ma se i partiti non dialogano in primis tra di loro, di superare vecchie insidie, ego e antipatie, viene da chiedersi come possano costruire un dialogo con gli elettori. Come abbiamo visto, vince anche chi è in grado di scendere a compromessi con gli alleati.

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