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    Dalla Ferrari alla Juventus passando per i giornali: il declino degli Agnelli

    John Elkann. Credit: Reuters

    L’ingloriosa parabola della famiglia più importante del capitalismo italiano sotto la guida di John Elkann

    Di Giovanni Valentini
    Pubblicato il 9 Dic. 2022 alle 07:10

    Dagli Agnelli agli Agnellini. Dal “capitalismo familiare” al cannibalismo familiare. Dall’Avvocato «di panna montata» al nipotino americano. Dalla crisi della Ferrari a quella della Juventus e dei giornali: a cominciare da Repubblica e L’Espresso, prima riuniti nel gruppo Gedi e poi separati dalla bassa logica di mercato.

    La parabola della più potente famiglia italiana sarebbe degna di una serie televisiva, una soap opera, una “Dynasty” all’ombra della Mole. “La caduta degli Dei”, si potrebbe intitolare. Oppure, “La discesa dei Giganti”, rovesciando il titolo di un bel romanzo sulla saga dei Menabrea, gli imprenditori biellesi della birra, scritto da Francesco Casolo e pubblicato da Feltrinelli.

    O ancora, “Svestivamo alla marinara”, parafrasando il memoir familiare di Susanna Agnelli. Tutti sanno che l’Avvocato avrebbe preferito come successore Giovannino, figlio di Umberto e della prima moglie Antonella Piaggio, un ragazzone ex carabiniere, imprenditore e manager di successo alla guida dell’azienda materna, stroncato a 33 anni da quello che si chiama pudicamente un male incurabile.

    E invece, il suo posto fu usurpato dall’americano John Elkann, nato a New York dallo scrittore Alain e da Margherita Agnelli, quest’ultima in causa con il resto della propria famiglia per l’eredità miliardaria della madre Marella. “La guerra degli Agnelli”, insomma, come “La guerra dei Roses” ovvero “Kramer contro Kramer”, per restare in ambito cinematografico.

    Il vice-erede designato, al quale si accredita un patrimonio personale di due miliardi di dollari, è assurto così al trono dell’impero Fiat per successione dinastica. E appena ha potuto, l’ha conferito alla holding olandese Stellantis che riunisce Peugeot, Citröen, Opel e vari altri marchi minori.

    Lui, intanto, s’è rintanato nella finanziaria Exor che capitalizza quasi 17 miliardi, anch’essa olandese, dedita da oltre un secolo agli investimenti, di cui oggi è amministratore delegato. Tanto appassionato di automobili dev’essere il nipotino americano da aver abbandonato a se stesso il Cavallino rampante, simbolo della celeberrima scuderia Ferrari, emblema delle Rosse di Maranello.

    Un orgoglio italiano che ormai non riesce più a vincere una gara in pista, collezionando brutte figure negli autodromi di mezzo mondo. E dopo una stagione da incubo, il vice-erede designato s’è deciso finalmente a sostituire il team principal Mattia Binotto con l’ingegnere francese Frédéric Vasseur che, a giudicare dal nome, non deve aver mai mangiato piadina e bevuto lambrusco, come si diceva ai tempi del mitico fondatore Enzo Ferrari.

    Altrettanto ha dovuto fare ora John Elkann alla Juventus, la storica squadra di famiglia, vanto calcistico dello sport italiano a livello internazionale. Solo che questa volta ha destituito dalla presidenza il cugino Andrea Agnelli, figlio di Umberto e Allegra Caracciolo, detentore di nove scudetti di fila, incappato nella “Calciopoli bianconera”.

    Adesso sui conti della società, e in particolare sugli stipendi milionari di alcuni giocatori occultati al fisco, indagano la magistratura, la Federcalcio e la stessa Uefa. Con tanti saluti agli accordi sul fair play finanziario raggiunti l’estate scorsa in sede nazionale per calmierare il folle mercato del pallone.

    Staremo a vedere come andrà a finire, dal momento che Andrea e la madre controllano l’11% della finanziaria Exor. Ma il capolavoro assoluto del nipotino americano è l’assalto al glorioso Gruppo editoriale L’Espresso, con il conseguente smembramento che gli ha consentito di svendere il settimanale e alcuni quotidiani locali, mortificando il giornale fondato da Eugenio Scalfari e condannandolo a un crollo di vendite senza fine.

    Passi per la Ferrari, passi per la Juventus, ma questo è davvero troppo. Qui non si tratta di un Gran Premio, qui non è più in gioco lo scudetto, bensì la libertà di stampa, l’indipendenza e l’autonomia di due testate che hanno fatto la storia del giornalismo italiano. E anche della democrazia italiana.

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