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    “Amianto, agenti chimici e rifiuti tossici: l’ex penicillina è un rudere malsano e pericoloso”, parla l’esperto

    Credit: Anna Ditta

    Un chimico racconta cosa ha riscontrato nella sua perlustrazione all'interno dello stabilimento abbandonato sulla Tiburtina, in cui vivono centinaia di persone

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 23 Nov. 2018 alle 16:40 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:53

    Ex penicillina Roma amianto e rifiuti | Andrea Turchi ricorda com’era l’Ex fabbrica di penicillina di via Tiburtina, a Roma, quando ancora produceva antibiotici. Andò a visitarla negli anni Settanta, da giovane studente di chimica.

    “Me lo ricordo, me lo ricordo bene”, racconta il chimico al telefono a TPI.it. “Ricordo anche le condizioni in cui lavoravano gli operai, lasciamo perdere”. 

    Sono passati quasi 40 anni, e quella che era ritenuta una delle fabbriche di penicillina più all’avanguardia d’Europa oggi è in uno stato di abbandono e incuria.

    Al suo interno vivono almeno 200 persone, italiani e stranieri, che non hanno altro posto dove andare.

    Con gli anni, nella fabbrica abbandonata si sono accumulati cumuli e cumuli di rifiuti. Ma non sono solo quelli a preoccupare Turchi, che è andato a svolgere un’ispezione sommaria nella struttura lo scorso giugno. A TPI.it Turchi racconta ciò che ha visto durante la sua perlustrazione.

    Dott. Turchi, cosa ha rilevato durante la sua ispezione?

    C’è un degrado ambientale complessivo spaventoso. L’aspetto più grave e inquietante, perché più diffuso, è sicuramente quello dell’amianto.

    Si tratta di una struttura degli anni Cinquanta-Sessanta, per cui l’amianto è stato utilizzato sia nelle coperture sia soprattutto nella coibentazione dei tubi.

    Quello è un amianto particolare, debolmente aggregato, il che vuol dire che quando si rompe con l’usura degli anni si disgrega più facilmente. E lì è in forma fortemente disgregata. Questo vuol dire che l’amianto polverizzato può andare in giro.

    Poi c’è di tutto: ci sono agenti chimici. Quelli che ho visto io non erano in grandi confezioni, quindi non erano agenti che usavano nella produzione.

    Quel tipo di agenti non li abbiamo trovati, ma io ho visitato solo alcuni locali insieme a Marco Passaro, un fotografo che ha vissuto lì dentro per mesi documentando la situazione.

    Però ci sono dei luoghi che nessuno ha visitato.

    Tempo addietro un tecnico della fabbrica mi ha detto che ci sono magazzini sotterranei attualmente inaccessibili. Lì potrebbe non esserci nulla, oppure potrebbero esserci anche reagenti di produzione.

    Quelli che ho visto io erano reattivi usati in laboratorio, però ci sono.

    Si tratta di agenti chimici pericolosi?

    Sì, sono pericolosi se qualcuno ci mette le mani. Per esempio abbiamo documentato anche fotograficamente la presenza di una bottiglia di acido solforico aperta, con l’acido dentro.

    C’è un po’ di tutto. Ci sono capsule di antibiotici. Molte sono state calpestate e rotte. Non so esattamente quali antibiotici fossero, lo stabilimento ha prodotto sia penicilline sia cefalosporine e, a un certo punto, anche tetracicline.

    Tenga presente che io non ho fatto un’indagine chimica, ma un’ispezione molto preliminare.

    Non ho la competenza per fare una valutazione di impatto ambientale, che sarebbe fondamentale.

    Poi c’è una quantità enorme di immondizia, con molta plastica. Quando – come è successo – ci sono degli incendi, con la combustione della plastica si liberano sostanze tossiche nell’aria.

    Come mai c’è tutta quella plastica?

    Dopo la chiusura, la struttura è stata usata inizialmente come discarica. Vi si trovano frigoriferi, elettrodomestici, tutto quello che si trova comunemente nelle discariche abusive di Roma.

    I rifiuti sono aumentati con la presenza delle persone che vivono là dentro, che non hanno acqua, elettricità, nulla. Non parliamo nemmeno delle deiezioni umane e di tutto quello che si può trovare in un luogo in cui hanno vissuto forzatamente centinaia di persone.

    Ma normalmente un impianto non viene abbandonato in queste condizioni.

    Giusta osservazione. Questo impianto non è stato dismesso, ma abbandonato.

    La produzione è cessata nel 2003, con un ultimo scampolo forse nel 2006. Ma la proprietà è rimasta privata, e appartiene alla vecchia  ISF. Il privato ha lasciato la situazione così.

    La fabbrica tra l’altro è a poche decine di metri dal fiume Aniene. 

    La fabbrica è legata fin dalle sue origini al fiume Aniene. Consideri che gli impianti chimici che si costruivano in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta si facevano vicino ai fiumi. Perché? Era il modo migliore per versare i residui della fabbricazione.

    Tra il Cinquanta e il Settanta, il residuo della produzione di penicillina si sversava nell’Aniene tranquillamente. Solo dal Settanta cominciarono a fare piscine di decantazione e cominciarono a fare un trattamento dei rifiuti.

    Non è l’unico caso. Si ricorderà cosa è stata la Montecatini per il fiume Tirino in Abruzzo.

    C’è il rischio che queste sostanze contaminino le acque del fiume?

    Guardi, una situazione come quella dell’Ex penicillina è incompatibile con una città. È incompatibile, non dovrebbe esistere all’interno di una città.

    Poi non parliamo di una grande metropoli internazionale come Roma. Al centro di Roma c’è – se vogliamo usare uno slogan – una “bomba ambientale”.

    Mettiamo un attimo da parte le cose che ancora non si sanno e prendiamo, ad esempio, l’amianto. In quella struttura non ci sono più finestre, è un luogo esposto ai venti. L’amianto in una forma così dispersa viene portato in giro. Più anni passano e più tetti in amianto cadranno.

    Qualunque esperto di amianto lei consulti le dirà che un amianto in quelle condizioni è pericoloso e va rimosso con tutte le accortezze del caso.

    Cosa si può fare adesso per rimediare?

    Serve qualcuno che faccia un’indagine ufficiale, anche per capire se c’è un inquinamento di falda. Con tutti quegli antibiotici sparsi è qualcosa che va verificato.

    Si dovrebbe poi intimare al proprietario di mettere in sicurezza per evitare nuovi crolli, poi fare una bonifica e infine abbattere.

    La bonifica tuttavia è molto costosa e se il proprietario è incapiente – come probabilmente è – se ne devono far carico le istituzioni.

    Io lì dentro ho visto situazioni veramente disperate, altro che pacchia, gente che veramente non sapeva dove andare. Anche richiedenti asilo, di tutto.

    Ad ogni modo mi conferma che il rischio delle sostanze presenti lì dentro riguarda non solo chi vive nella struttura, ma anche chi vive intorno?

    Certo. Il giorno in cui la struttura verrà sgomberata non verrà risolto un bel nulla. Rimane ciò che c’era prima.

    Quei disperati andranno a fare i disperati da qualche altra parte, come è successo al Baobab. Ma il problema ambientale rimane tutto intero, ed è un problema che le istituzioni devono affrontare.

    Gli anni peggiorano la situazione. Non essendo stato fatto nulla, le condizioni peggiorano.

    Roma è la città dei paradossi.

    Prima c’era un muro di separazione dalla strada, ma con i lavori di ampliamento della Tiburtina ora il marciapiede passa proprio sotto l’Ex Penicillina.

    Hanno fatto una strada ad alta percorrenza, accanto a un rudere malsano e pericoloso. Nessuno si è posto il problema di mettere in sicurezza l’obbrobrio che sta proprio lì accanto?

    Qui il video della conferenza stampa organizzata il 14 novembre dagli abitanti dell’Ex penicillina:

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