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    Libia, 79 migranti si rifiutano di sbarcare a Misurata: “Rischiamo arresti e torture”

    Immagine di repertorio

    Una nave mercantile battente bandiera panamense ha soccorso i migranti nel mar Mediterraneo l'8 novembre e si è diretta verso il porto libico di Misurata

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 19 Nov. 2018 alle 15:39 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:37

    Più di 70 migranti sono bloccati su una nave panamense ferma al porto libico di Misurata e si rifiutano di scendere.

    Secondo quanto riferito da Amnesty International, l’8 novembre 2018 il“Nivin”, un mercantile battente bandiera panamense, ha soccorso nel Mediterraneo centrale un gruppo di migranti che cercava di raggiungere l’Europa.

    Il “Nivin”, dopo aver soccorso i profughi, si è diretto verso la Libia, violando secondo la Ong il diritto internazionale: il paese africano infatti non è considerato un porto sicuro.

    I migranti però si sono rifiutati di lasciare il mercantile temendo di essere spediti nei centri di detenzione presenti in Libia.

    Alcuni di loro infatti hanno raccontato ai giornalisti che preferirebbero morire piuttosto che essere costretti a sbarcare nel paese africano, dove temono di essere fatti prigionieri e torturati dai contrabbandieri. “Siamo disposti ad andare ovunque, ma non in Libia”.

    La maggior parte di loro sono originari dell’Africa sub-sahariana e dall’Asia meridionali.

    Dopo essere arrivati nel porto di Misurata il 10 novembre, 14 persone, tra cui minori non accompagnati, una madre e un bambino hanno lasciato la nave e sono stati inviati dalle autorità nei centri di detenzione ufficiali in Libia ma a bordo della nave ci sarebbero ancora 79 migranti.

    Gli operatori di Medici senza Frontiere si sono occupati delle condizioni di salute delle persone rimaste sul mercantile, mentre Amnesty International ha denunciato la situazione in cui versano i migranti.

    “Le proteste a bordo del mercantile, ora ancorato nella rada di Misurata, dà una chiara indicazione delle condizioni terribili dei centri di detenzione libici per migranti e rifugiati, in cui torture, stupri, pestaggi, estorsioni e ulteriori violenze sono all’ordine del giorno”, ha affermato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

    “È davvero ora che le autorità libiche pongano fine alla brutale prassi di porre illegalmente in detenzione migranti e rifugiati. Nessuno dovrebbe essere respinto in Libia per essere sottoposto a condizioni di prigionia inumane e alla tortura”.

    Le persone soccorse, continua Amnesty, non dovrebbero essere “costrette a sbarcare per essere portate in un centro di detenzione libico dove potrebbero subire torture e altri abusi”.

    “Secondo la legge internazionale, nessuno dovrebbe essere mandato in un posto dove la loro vita è a rischio”, ha aggiunto Amnesty.

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