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“Io, che decido sulle domande d’asilo dei migranti, vi dico che il decreto Salvini penalizza chi è più integrato”

Credit: LOUISA GOULIAMAKI / AFP

Le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, ad oggi, possono concedere solamente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria. Quella umanitaria è stata cancellata dal decreto sicurezza, con un impatto soprattutto su chi è in Italia da molto tempo oppure è già integrato

Di Ambra Orengo
Pubblicato il 6 Feb. 2019 alle 12:49 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 01:25

Ogni giorno analizzano due o tre casi a testa. Per ore, ascoltano storie di persone arrivate dall’altra parte del mondo, per sfuggire da guerre, fame o persecuzioni. Decidono del loro destino, applicando le leggi e le conoscenze imposte al loro ruolo. Sono i membri delle 20 commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.

Da quando è entrato in vigore il decreto sicurezza, a ottobre 2018, possono concederne soltanto due tipi: lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. “Il Salvini” (come viene chiamato in gergo il decreto) ha eliminato la terza, la protezione umanitaria.

“Dall’entrata in vigore del decreto i rigetti sono aumentati molto, sono circa i 3/4 dei casi”, racconta a TPI un membro di una commissione. E la contraddizione che stupisce è che tra i più penalizzati, c’è proprio chi è più integrato.

“L’umanitaria si dava in base a un ragionamento ‘di bilanciamento’. Si valutavano le condizioni oggettive e soggettive del richiedente, sia nel Paese d’origine sia in Italia. Quindi valutando soprattutto il livello di integrazione qui”, spiega il commissario.

Mentre lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria si concedono nei casi di persecuzioni (il primo) o rischio di condanna a morte, maltrattamenti inumani o conflitti armati nel Paese d’origine (il secondo), la protezione umanitaria veniva data nelle situazioni in cui la vita, la libertà o i diritti di una persona fossero a rischio.

“Facciamo l’esempio di un cristiano copto egiziano che si sta integrando in Italia e che ha un lavoro e una casa. Se tornasse in Egitto potrebbe non essere sottoposto a una vera e propria persecuzione (caso in cui riceverebbe lo status di rifugiato), ma a diverse forme di discriminazione e a una situazione in generale non favorevole. In questo caso, il ‘bilanciamento’ penderebbe per farlo rimanere in Italia. Ma, ad oggi, per noi sarebbe un rigetto perché non potremmo più concedergli un’umanitaria”.

Delle migliaia di richieste di protezione presentate ogni mese, la stragrande maggioranza si risolve in rifiuti. Un numero aumentato dall’entrata in vigore del “Salvini”. Stando ai dati del Viminale, nel dicembre 2018 ci sono state 2.753 richieste di asilo presentate in Italia. Di queste l’82 per cento si sono tradotte in domande respinte, il 10 per cento in status, il 5 per cento in sussidiarie e il 3 per cento in umanitarie.

A settembre dello scorso anno, invece, prima del decreto Salvini, sulle 3.298 richieste arrivate il totale dei rigetti è stato del 72 per cento e le protezioni umanitarie concesse sono state il 17 per cento (il 7 per cento per l’asilo e il 4 per la sussidiaria).

Ma chi c’è tra quel 14 per cento in meno di umanitarie rilasciate? “Personalmente mi sono capitati molti casi di persone che ho dovuto rigettare ma per cui in precedenza avrei proposto l’umanitaria. Me ne ricordo diversi che hanno una forte integrazione in Italia e una situazione poco stabile nel Paese d’origine. Non al punto di poterla considerare un conflitto armato (perché è necessario che si rispettino precisi requisiti), ma comunque di sicuro fortemente instabile. Come ad esempio nel caso di alcuni Paesi del Sud America. Oppure persone che sono qui da molti anni e hanno qui figli minorenni, nati e cresciuti in Italia. Prima si concedeva l’umanitaria al genitore nell’interesse del bambino che va a scuola, ha i suoi amici e la sua vita qui. Al momento però non è più possibile e per noi è una domanda respinta”.

Quindi se ad oggi si presenta una mamma con un bimbo di 10 anni, nato qui e cresciuto qui, per la commissione sarà un rigetto? “Si. L’unica cosa che si può fare è ‘segnalare’ al Questore, attraverso gli atti, la presenza del minore. In quel caso sarà lui a decidere o il Tribunale, quando il genitore farà ricorso”.

Oltre alle commissioni, infatti, sia il Questore che il Tribunale giocano un ruolo in queste vicende. Al Questore spetta la competenza sulle forme di permessi inserite dal decreto cosiddette “speciali”, ad esempio quelle per cure mediche. Sarà lui a decidere a riguardo, complicando un quadro in cui spetterebbe alla Commissione pronunciarsi in merito.

In più, nei casi di ricorsi, sarà il Tribunale a poter cambiare la decisone, come è già accaduto in questi mesi. Un primo caso arrivato in Cassazione ha stabilito, ad esempio, che le regole restrittive del decreto sicurezza non dovrebbero essere applicate a chi ha fatto domanda prima della sua entrata in vigore.

Ad oggi, ci sono persone che hanno fatto richiesta di asilo diverso tempo fa ma tutte le commissioni sono molto in ritardo nell’esame delle domande. Così queste persone ora rischiano di non vedersi riconosciuta la protezione umanitaria perché nel frattempo sono cambiate le regole.

“Nei casi di rigetto ci sono volte in cui ti dispiace molto. Perché ti rendi conto che sono persone che hanno fatto quello che avremmo fatto tutti, scappando dalla povertà ad esempio”, racconta il membro della Commissione.

“Una volta ho ascoltato la storia di una ragazza il cui padre è totalmente invalido e lei è dovuta partire perché non riusciva a comprargli ciò di cui aveva bisogno, persino i pannoloni. Voleva prendersi cura di lui. Il suo motivo, che è economico, non ha nulla a che fare con la protezione internazionale però ti fa tenerezza quando scoppia a piangere e ti dice che le manca il papà. Lì capisci che nessuno lascia il suo Paese se non è costretto. Ma noi dobbiamo applicare la legge, anche se in alcune situazioni ti dispiace”.

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