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    Vorrei tornare a casa ma non posso

    In Qatar, in vista del mondiale del 2022, finora sono morti almeno 400 operai per le condizioni di lavoro devastanti

    Di Michele D'Alessio
    Pubblicato il 30 Lug. 2014 alle 17:32 Aggiornato il 4 Nov. 2019 alle 19:26

    “La nostra sveglia era come al solito alle 4.45 per andare in cantiere. Abbiamo chiamato Rishi, ma abbiamo visto che non si alzava”.

    “Era morto e noi eravamo stravolti, non sapevamo cosa fosse successo. Quando muore uno, tutti gli altri hanno paura di morire”, racconta uno degli operai giunti a Doha, in Qatar, per costruire gli stadi che ospiteranno il mondiale del 2022.

    I lavoratori impiegati a pieno ritmo per i campionati del mondo guadagnano anche 56 centesimi di euro l’ora, e sono più di 400 quelli già morti per incidenti, caldo o suicidi. È quanto emerge da una video-inchiesta che il giornalista Robert Booth ha realizzato a Doha, pubblicata sul Guardian.

    Nella sede dell’Aspire Academy, in un tendone completamente climatizzato, si stanno preparando le nuove leve calcistiche qatariote per i mondiali del 2022. I ragazzi intervistati appaiono già totalmente proiettati verso il torneo, ma quando il giornalista del Guardian chiede a un giovane calciatore se è a conoscenza di come procede la costruzione degli stadi, interviene un uomo che ammonisce Booth dicendogli di fare domande ai ragazzi limitatamente all’attività dell’Academy.

    Nel centro di Doha c’è la Torre del Calcio, dove al trentottesimo piano risiede il comitato organizzatore dei mondiali. Gli interni di questa sede sono di una bellezza stupefacente, molto diversi dagli alloggi degradati degli operai provenienti da Sri Lanka, India e Nepal.

    I lavoratori intervistati denunciano il fatto che non sono stati pagati e che la loro situazione è difficile anche con le famiglie, visto che non riescono a mandare i soldi che spetterebbero loro per quanto svolto. “Vorrei andare a casa ma non posso pagarmi il biglietto. È da un anno che lavoro e non mi pagano”, dice un uomo visibilmente provato.

    Poco lontano dalle zone più lussuose di Doha, c’è un accampamento fatto di container in cui abitano una sessantina di operai che non ricevono salario da cinque mesi. Qui le condizioni igieniche sono minime: “Siamo costretti a lavarci con taniche di acqua salata e quella che beviamo non sarebbe potabile”, dice un altro operaio. Altri ancora denunciano le difficoltà con le famiglie: “Quando ci chiamano e ci chiedono i soldi, io gli devo spiegare che qui non ci pagano. Spesso mi chiedono perché sono venuto a lavorare qui se non mi danno i soldi”.

    In Nepal, a Katmandu, Booth ha parlato con la moglie di uno di questi operai: “Stiamo per perdere la casa. Non sappiamo cosa fare e siamo in uno stato di perenne preoccupazione”. Poi è andato presso la sede della Capital Manpower, agenzia di reclutamento di forza lavoro da mandare in Qatar, in cui una segretaria nega i mancati pagamenti, e dice che se alcuni operai sono tornati a casa, lo hanno fatto per motivi personali o perché non hanno superato le visite mediche.

    Altri lavoratori tornati da Doha mostrano come i contratti di lavoro non siano stati rispettati: “Mi hanno pagato meno della metà di quanto promesso. E poi mi avevano detto che sarei andato a fare il capomastro, invece ho fatto il manovale semplice. Mi sono pentito, quei soldi li avrei potuti guadagnare tranquillamente in Nepal”.

    La Fifa sta portando avanti un’inchiesta sull’organizzazione dell’evento. Oltre alle morti bianche e al caldo (d’estate 50 gradi all’ombra, condizioni proibitive per qualsiasi sport), sul Qatar gravano sospetti di corruzione. I dirigenti qatarioti avrebbero infatti pagato tangenti ad alcuni membri Fifa per assicurarsi il voto favorevole all’organizzazione dei mondiali. Se l’indagine svelerà l’effettiva corruzione, i mondiali 2022 verrebbero riassegnati a un altro Paese.

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