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    “Sono grato alla Russia, non voglio andarmene”: a TPI parla il prof. italiano minacciato a Mosca con una Z

    "Perché mi hanno minacciato? Forse mi è stato fatto capire che la cultura dominante non ha apprezzato l’equidistanza tra le posizioni russe e quelle ucraine che ho espresso nelle mie analisi. Gli haters mi attaccano? Mi fanno orrore": a TPI parla Vincent Ligorio, il docente italiano che vive a Mosca, intimidito nei giorni scorsi con una Z dipinta sulla sua porta di casa

    Di Giuliano Guida Bardi
    Pubblicato il 1 Apr. 2022 alle 12:53 Aggiornato il 1 Apr. 2022 alle 13:49

    Ieri era una stella di David con la scritta Juden Hier, oggi è una Zeta. Sempre sulla porta di casa, sempre per identificare i nemici ed indicarli all’odio pubblico.

    Vincent Ligorio vive e insegna a Mosca, dove detiene la cattedra di Relazioni internazionali alla RANEPA, l’Università presidenziale russa per l’economia nazionale e la funzione pubblica. La sua Zeta, Ligorio, l’ha trovata sulla porta di casa, due volte negli ultimi sette giorni. La Z segue telefonate e mail, mai troppo affettuose, dei giorni precedenti.

    Professore, perché?
    La verità è che non lo so. Io spero che si tratti solo di episodi, chiamiamoli “incidenti di percorso”. Forse mi è stato fatto capire che la cultura dominante non ha apprezzato l’equidistanza tra le posizioni russe e quelle ucraine, che ho espresso nelle analisi che propongo ai miei studenti e nel dibattito pubblico. Diciamo che forse questi sgradevoli gesti sono un invito deciso farmi stare da un lato o dall’altro.

    Sul web qualcuno la accusa di averlo fatto da solo perché quello che si vede nella foto è l’interno di una porta, non l’esterno.
    Invito questo leone da tastiera a casa mia, così prende un caffè e guarda da solo la zeta e la porta. Io faccio il professore e non monto infissi. Non so perché la porta di casa mia a Mosca apra verso l’esterno, ma è così ed è verificabile, ovviamente. Gli haters mi facevano ridere prima, ora, francamente mi fanno orrore.

    Ha paura?
    Diciamo che non mi fa certo stare sereno. Sono arrivato a Mosca 11 anni fa per un breve periodo di specializzazione presso Higher School of Economics. Ma questa città e questo popolo mi hanno affascinato e conquistato e il mio master si è trasformato in una scelta di vita e mi sono specializzato in economia internazionale.

    Ora lascerà il Paese, immagino.
    Amo la Russia e Mosca e sono grato per quello che questo Paese mi ha dato e che io cerco di restituire attraverso il mio lavoro. Ma la mia vita è qui: sono sposato, con una mia collega che si occupa – per sua fortuna- di altro. Onestamente sto valutando insieme alla mia famiglia cosa sia meglio fare per garantirci una certa sicurezza. Se dalle Z o dalle telefonate minatorie si dovesse passare ad una pressione ancora più forte, sicuramente sarò costretto ad allontanarmi. Ma davvero non vorrei farlo. Per il momento ho segnalato il primo episodio al consolato e all’Ambasciata italiana di Mosca. Mi hanno espresso la loro vicinanza e mi hanno chiesto di tenerli informati, credo che sia il massimo che possono fare, al momento.

    Come si è trasformata la quotidianità di Mosca dopo il 24 febbraio?
    Cambiamenti rilevanti, nessuno ancora. Certo, le sanzioni hanno prodotto una sensibile inflazione. E il fatto che molte multinazionali e catene di imprese sia dovuta uscire dal mercato russo crea fenomeni macroeconomici i cui effetti si sentiranno nei prossimi mesi. La tensione c’è, ma è inevitabile, vista la situazione in cui ci troviamo a vivere.

    Lei si è formato prevalentemente in Italia e specializzato a Londra, prima di arrivare a Mosca. Dove abbiamo sbagliato noi europei?
    Lo dico da europeista convinto, che ha anche lavorato per alcuni programmi europei qui in Russia: la U.E. non ha avuto forza politica. Ma questo era prevedibile, a causa della sua natura inconsistente ed ambigua. L’Unione Europea è un eterno adolescente. E invece dovrebbe fare il salto verso la maggiore età, trasformarsi in un soggetto politico vero e proprio. Dobbiamo accettare l’idea che questa maturazione politica ha dei costi, ovviamente. Mi pare, però che non tutti i paesi (in primis Francia e Germania) siano disposti a cedere il loro ruolo di soggetto internazionale a favore dell’Europa. L’unica cosa che possiamo fare adesso -senza trasformare efficacemente la natura delle istituzioni europee- è giocare di coralità e coordinare le forze nazionali.

    Quindi altre sanzioni?
    La Russia è antropologicamente e storicamente autarchica. Questo Paese ha un suo approccio particolare: si sbaglia se si spera di ribaltare il corso degli eventi e della leadership attraverso influenze esterne. Questo non avverrà, purtroppo. Le sanzioni non colpiscono né i ricchi né la classe dirigente russa. Al contrario, affliggono prevalentemente il ceto medio basso. Sicché l’effetto politico è quello contrario a quello desiderato: il grosso del consenso si compatterà per riadattarsi. Solo nel lungo periodo si tireranno le somme politiche.

    Ma come può il popolo russo sapere cosa succede? La censura dell’informazione esiste o è propaganda occidentale?
    Non è censura, propriamente. È che qui si segue una certa narrativa che è quella ufficiale. Un giornale storico come Novaya Gazeta ha deciso di sospendere temporaneamente le pubblicazioni per non incappare nelle sanzioni previste dai nuovi decreti sulle fake news riguardanti il conflitto. La situazione è difficile.

    Cosa prevede?
    Non so, davvero. Con molta onestà io non mi aspettavo l’inizio delle operazioni militari il 24 Febbraio, anche se i dati che osservavo, mi avevano portato a preventivare qualcosa per la metà di marzo, ma come ho già detto deve essere scattato quello che ho definito il “se non ora quando” all’interno della leadership del Cremlino. Come e quando finirà, è imprevedibile. Ma una cosa è certa: le conseguenze di questi eventi si sentiranno a lungo, molto a lungo.

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