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    “Vietato bloccare gli utenti sui social”: la storica sentenza delle Corte federale Usa

    Donald Trump

    Secondo i giudici un simile comportamento viola il Primo emendamento che tutela la libertà di espressione

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 8 Gen. 2019 alle 17:03 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:37

    Vietato bloccare gli utenti sui social network: è questa la sentenza emessa da una Corte d’appello federale della Virginia, negli Stati Uniti.

    Un simile comportamento, secondo i giudici, viola il Primo emendamento della Costituzione americana che tutela la libertà di parola.

    La Corte ha espresso questo storico giudizio partendo da un caso quasi banale: un cittadino aveva criticato in un post su Facebook un politico locale, la presidente di un Consiglio di supervisori della Contea di Loudoun, che per tutta risposta aveva cancellato il commento e bloccato l’account dell’uomo, impedendogli così di continuare a pubblicare sulla pagina da lei gestita.

    Un comportamento che la Corte della Virginia ha reputato inappropriato, dato che impedire a un cittadino di pubblicare contenuti sulla pagina Facebook di un personaggio politico o di un pubblico ufficiale rappresenta una grave violazione del Primo emendamento sulla della libertà di espressione e informazione.

    L’unica limitazione possibile, ha ricordato la Corte, si applica nel momento in cui i messaggi e le parole si trasformano in offese o episodi di diffamazioni, anche se in nessun caso si può reagire con il blocco dell’account ritenuto offensivo. La soluzione è invece rivolgersi ai giudici.

    La sentenza della Corte d’appello della Virginia, la prima del suo genere, non sarà accolta positivamente dal presidente americano Donald Trump, noto per aver più volte bloccato account di suoi detrattori.

    Il presidente tra l’alto è già al centro di una controversia simile con la Corte di Manhattan per ribaltare una sentenza del 2018 di un giudice che aveva stabilito che l’inquilino della Casa Bianca non poteva bloccare gli account Twitter non graditi.

    Secondo il dipartimento di Giustizia la sentenza era “fondamentalmente errata”.

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