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    Perché le vacanze estive in Europa durano di più

    Tra i 20 paesi con più giorni di ferie pagate al mondo, 15 sono europei. Credits: Flickr.

    Per trovare una risposta dobbiamo tornare ai tempi del primo dopoguerra, in Francia

    Di Viola Stefanello
    Pubblicato il 30 Lug. 2018 alle 16:14 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 00:29

    Ogni estate, mentre le città europee cominciano a spopolarsi e gli uffici si svuotano ovunque nel Vecchio Continente, dall’altra parte dell’Oceano gli statunitensi restano dietro alla propria scrivania.

    È una tradizione europea, quella di prendersi delle lunghe ferie estive. Il motivo lo spiega lo storico Gary Cross nel suo studio “Vacations for All: The Leisure Question in the Era of the Popular Front“, pubblicato per il Journal of Contemporary History.

    E, in effetti, tra i 20 paesi con più giorni di ferie pagate al mondo, 15 sono europei. In Svezia sono 41, in Finlandia 40, in Lituania 39. I francesi e i portoghesi hanno diritto a 38 giorni.

    In Italia sono 31: meno che in Slovenia, Polonia e Croazia (33 giorni), Spagna, Danimarca e Germania (34 giorni), Austria (35 giorni), Regno Unito e Islanda (37 giorni).

    Ma sempre molto, molto più che negli Stati Uniti, dove l’Atto Federale sulle Giuste Condizioni Lavorative del 1938 non contiene alcuna indicazione che obblighi i datori di lavoro a concedere anche un solo giorni di ferie pagato ai propri dipendenti.

    La ragione dietro questa abitudine europea di prendere tanti giorni di ferie in estate risale, secondo il professor Cross, agli anni tra le due guerre mondiali.

    Tutto è cominciato nel 1919, quando in Francia alcuni tipografi e panettieri sono riusciti a ottenere una settimana di vacanze pagate.

    Appena sei anni dopo, nel 1925, in sei paesi dell’Europa orientale e centrale c’erano leggi che imponevano ai datori di lavoro di concedere ai propri dipendenti giorni di vacanza pagati.

    Se, infatti, i padroni non accettavano spesso la richiesta di una settimana lavorativa di quaranta ore, accettavano di miglior lena il desiderio dei propri dipendenti di passare qualche giorno lontani dal posto di lavoro.

    Le aziende potevano usare la concessione di vacanze pagate come incentivo a lavorare duramente, promettendole soltanto a chi si comportasse impeccabilmente per un anno, ad esempio.

    Il periodo migliore per spendere questi preziosi giorni di vacanza era l’estate, quando la mole di lavoro tendeva a diminuire.

    Ma, soprattutto, quella delle ferie retribuite era una battaglia che i leader politici, sia di destra che di sinistra, potevano sfruttare a proprio favore per plasmare la società nella direzione preferita.

    Così, il Labour Party britannico invitava i proletari a usare il loro tempo libero appena acquisito per l’attivismo politico. Ma anche il fascismo italiano, con l’istituzione delle attività dopolavoro, e il programma dei nazisti tedeschi Kraft durch Freude, incoraggiavano il patriottismo attraverso lo sport e la visita a monumenti storici o siti naturalistici.

    Una volta arrivati i duri anni ’30 della Grande Depressione, il concetto di ferie pagate ha cominciato a far parte di un più ampio discorso sulla necessità di redistribuire il tempo libero – e il lavoro – all’interno della società. Una formula che può essere riassunta con il motto dei socialisti francesi: “lavoro per tutti, tempo libero per tutti”.

    Negli anni che hanno seguito la Seconda Guerra Mondiale, i giorni da dedicare alle vacanze estive ogni anno non hanno fatto altro che aumentare.

    Questo soprattutto grazie al potere, molto europeo, in mano ai sindacati che entro gli anni ’80 hanno portato le cinque settimane di ferie retribuite in tantissimi paesi europei.

    Le vacanze estive, in breve, hanno rappresentato per anni uno dei rarissimi temi su cui le destre e le sinistre europee si sono trovate molto d’accordo. Il risultato sono molte settimane di vacanza disponibili in tutta Europa – purtroppo per gli statunitensi, condannati a osservare i viaggi degli amici europei dall’ufficio.

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