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    L’Unione europea come Alice nel paese delle meraviglie

    Siamo incagliati sullo scoglio delle politiche europee come Alice nella "maratonda". L’Europa non va cercata lì, ma nei suoi popoli e nella sua cultura

    Di Luca Cappello
    Pubblicato il 25 Mar. 2017 alle 16:46 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 01:57

    Giunti al sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma vorrei percorrere il cammino opposto delle marce che si stanno svolgendo nella capitale. Vorrei rimanere fermo per una riflessione sul significato di quanto abbiamo fatto e su quello che faremo. 

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    Una volta fermo ciò che vedo è un naufragio del dialogo sull’Unione. Siamo incagliati sullo scoglio delle politiche e solo su quelle ci confrontiamo. E a proposito di scogli, mi ritorna in mente la scena paradossale della “maratonda” del cartone animato “Alice nel Paese delle Meraviglie” quando tutti i personaggi girano intorno ad uno scoglio per asciugarsi mentre di volta in volta vengono sommersi dal mare.

    “Nessuno può mai asciugarsi in questo modo”, esclama Alice e così io penso che non potremo mai raggiungere il nostro obiettivo europeo, quale esso sia, se ci limitiamo ad essere investiti dalle sue politiche e a discutere esclusivamente di queste. Per asciugarsi è necessario uscire dal mare e così, per progredire con il progetto europeo, è necessario uscire dalle politiche in cui siamo immersi e osservare dall’esterno la direzione migliore. 

    L’Europa, è vero, si identifica anche nelle sue politiche ma prima di tutto è immaginazione, sentimento, condivisione, ideali e passione e noi siamo riusciti a prosciugare un’idea che non è mai stata arida.

    L’Europa non è nata da un mercato e dai regolamenti che le permettono di funzionare. È nata da un’idea degli scrittori Spinelli e Rossi, condannati al confino dal regime fascista sull’isola di Ventotene, i quali hanno osato immaginare che quelli che, poco più distanti, si stavano trucidando, un giorno, forse, avrebbero potuto convivere pacificamente ponendo fine alle assurdità che si stavano consumando in quel Vecchio continente. L’immaginazione è diventata realtà e, grazie alla forza di chi ha immaginato, viviamo il più duraturo periodo di pace mai visto in Europa. Questa non è una politica dell’Europa, questa è già l’Europa.

    Anche la politica di libera circolazione delle persone, forse la più apprezzata, non è nata come politica europea ma era l’Europa in sé. La politica doveva solo aprire gli occhi per riconoscere quello che da secoli già accadeva, ovvero la diffusione di una cultura comune confluita nella tradizione del Grand Tour del XVII secolo dove i giovani delle famiglie europee avevano occasione di completare il proprio ciclo di studi con la visita dei maggiori centri culturali, artistici e politici dell’Europa continentale. 

    L’Europa non si trova nelle sue politiche ma è da ricercarsi nei popoli che compongono l’Unione e nella cultura che sono stati capaci di produrre a prescindere dai confini di nascita, dalle barriere linguistiche o dai conflitti statali.

    L’uomo europeo è sempre stato uomo di cultura. Ben prima che l’idea politica sopraggiungesse, ha sempre trovato il modo di affermare l’Europa: nei viaggi, negli scambi, nelle lettere, nella ricerca della bellezza, nella scienza, nell’arte e nei diritti. 

    In questa giornata in cui festeggiamo un traguardo inimmaginabile fino a poco tempo addietro, dimentichiamoci per un momento in che direzione vogliamo scagliare la freccia e concentriamoci invece sul perché siamo arrivati a tendere l’arco.

    L’Unione europea è dunque la sintesi della nostra essenza e del nostro sentire. Più come un’ esigenza economica e di politiche deve essere interpretata come esigenza delle persone e della loro cultura poiché le diversità possono vivere in armonia solo se inserite in un grande progetto ancorato a ideali e non solo a interessi.

    Dobbiamo comprendere che le politiche europee non sono l’Europa. L’Europa c’è già, le politiche che da essa promanano non sono altro che il riconoscimento di qualcosa che esiste in tutti noi e che da tutti noi è condivisa. Quanto promana dalle istituzioni non è altro che un riconoscimento di ciò in cui crediamo e che desideriamo. 

    Ricominciamo a parlare di Europa, a immaginarla, a sentirci accomunati tutti da una medesima appartenenza, a credere nel progetto che ci ha permesso di prosperare e ad aprire gli occhi su quella che è la cultura europea.

    In fin dei conti, l’Europa è la nostra volontà di immaginarci uniti, le politiche europee solo lo strumento per manifestare tale unione.

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