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    Distruzione della diga di Kakhovka, cosa succede adesso

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 9 Giu. 2023 alle 12:09 Aggiornato il 9 Giu. 2023 alle 12:26

    Lo scorso sei giugno intorno alle due di notte un’esplosione ha portato alla rottura della diga di Nova Kakhovka, sul fiume Dniepr, situata proprio in quella parte dell’oblast di Kherson in cui il fiume fa da linea del fronte tra i territori sotto il controllo di Ucraina e Russia. La diga fungeva anche come ponte (e quindi come potenziale attraversamento del fiume per entrambi gli eserciti) e come centrale idroelettrica. Era passata sotto il controllo russo nelle primissime fasi dell’invasione e dallo scorso novembre, dopo la controffensiva ucraina con cui Kiev ha ripreso il controllo di tutta la zona a ovest del Dniepr nell’oblast di Kherson, ha finito per rimanere nel mezzo della linea del fronte.

    Non è ancora chiara la dinamica che ha portato alla rottura della diga. L’Ucraina ha puntato subito il dito contro la Russia, al punto che il ministro degli Esteri Dmitro Kuleba ha accusato i media internazionali che hanno presentato i due Paesi come entrambi possibili responsabili dell’esplosione. Secondo Kiev la diga sarebbe stata fatta saltare in aria da Mosca con l’obiettivo di rallentare la controffensiva ucraina in programma da tempo e di cui in questi giorni si sta assistendo a quelle che potrebbero essere le sue prime fasi.

    La Russia, dal canto suo, ha invece parlato di sabotaggio compiuto dagli ucraini, come dichiarato dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. Il premier britannico Rishi Sunak ha detto che è troppo presto per dire in modo definitivo che Mosca sia responsabile dell’esplosione, e che l’intelligence sta indagando sull’accaduto. La Turchia ha invece proposto la creazione di una commissione che comprenda le Nazioni Unite ed esperti in rappresentanza delle due parti in guerra oltre a rappresentanti di altri Paesi, come proposto dallo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan in una telefonata con Zelensky.

    La rottura della diga ha tuttavia una serie di conseguenze di natura umanitaria, ambientale e militare. La diga formava un grosso invaso che serviva tra le altre cose da bacino per il canale di Crimea, principale fornitura idrica della penisola, e a raffreddare la centrale nucleare di Zaporizhzhia, che si affaccia proprio sul bacino, oltre ad alimentare la centrale idroelettrica.

    La rottura della diga ha causato la morte di almeno otto persone e causato ampie inondazioni lungo entrambe le sponde del fiume, dove decine di migliaia di persone vivono in aree a forte rischio piena: Kiev ha dichiarato di aver iniziato l’evacuazione di 17mila persone, mentre sarebbero 22mila le persone che vivono in aree a rischio nel territorio sotto il controllo russo. Anche per questo si ritiene che le vittime potrebbero essere molte di più.

    Le immagini della città di Kherson allagata e di altre aree colpite dalle inondazioni sono state diffuse dai media in tutto il mondo.

    Oltre a questo, vi sono state conseguenze per l’ambiente e l’agricoltura locale, con allevatori costretti a trasferire il bestiame dalle aree alluvionate e aree naturali protette, già messe a dura prova dalla guerra, rese ancora più a rischio. Anche per i pesci, trasportati velocemente dalle correnti dai propri habitat naturali in terreni alluvionali o spostando forzosamente pesci d’acqua dolce nell’acqua salata e viceversa, si stimano numerosi rischi e conseguenti danni oltre che per la sopravvivenza degli animali anche per l’industria ittica.

    Oltre a questo, l’inondazione ha allagato anche i campi minati installati lungo la linea del fronte, col rischio tuttavia di portare via con la corrente le mine con il conseguente rischio umanitario e ambientale. Secondo l’ex ministro dell’Ecologia ucraino Ostap Semerak i danni causati dall’inondazione potrebbero riguardare anche altri Paesi che si affacciano sul mar Nero e durare per anni.

    Un’altra questione riguarda anche la centrale nucleare di Zaporizhzhia, situata nella città di Energodar che si affaccia proprio sull’ampio bacino a monte della diga. Con la centrale già minacciata dall’attività bellica in zona e i reattori attualmente spenti, è necessario nel vicino bacino un livello dell’acqua di almeno 12,7 metri circa. Dopo la rottura della diga, il livello dell’acqua è sceso di alcuni metri, fermandosi al momento poco al di sopra della soglia richiesta. In ogni caso, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha fatto sapere che non ci sono rischi immediati per la centrale.

    C’è poi la questione dell’approvvigionamento idrico, non solo per le aree a ridosso dell’inondazione, dove l’accesso all’acqua potabile si è drasticamente ridotto, ma anche per la Crimea. La penisola, infatti, deve l’85 per cento dell’approvvigionamento idrico dal canale settentrionale di Crimea che ha inizio proprio dal bacino immediatamente a nord della diga. Con la distruzione dell’infrastruttura, la regolarità dell’approvvigionamento è a rischio.

    Dal punto di vista militare, il fiume Dniepr rappresentava un ostacolo naturale tra i territori sotto il controllo di Ucraina (a ovest) e Russia (a est). Per quanto nelle prime fasi del conflitto le truppe di Mosca lo avevano attraversato senza grossi problemi passando proprio dal ponte della diga di Kakhovka, la situazione si era molto cristallizzata a partire dallo scorso novembre quando gli ucraini si erano attestati lungo il fiume in seguito alla controffensiva di Kherson.

    Per quanto da entrambe le parti si erano create fortificazioni e campi minati che ostacolavano potenziali offensive, non erano mancate tra la fine del 2022 e l’inizio di quest’anno piccole incursioni ucraine attraverso lo Dniepr, forse più con intento esplorativo per studiare eventuali operazioni future che con obiettivi bellici immediati, focalizzate intorno alle grandi isole paludose situate all’altezza di Kherson e sulla penisola di Kinburn, alla foce del fiume. Con la rottura degli argini da parte del fiume, tali operazioni (che comunque non avevano portato risultati consistenti) diverranno molto più complesse. In generale, tuttavia, allo stato attuale il fronte del Dniepr non sembrava un terreno di scontro possibile né per la tanto attesa controffensiva ucraina né per possibili operazioni russe proprio per via di queste caratteristiche. L’ex direttore della CIA, David Petraeus, ha ad esempio dichiarato che non pensa che la rottura della diga abbia conseguenze nelle operazioni ucraine di controffensiva.

    Tuttavia, divenendo questo fronte pressoché impraticabile per entrambi gli schieramenti, c’è da aspettarsi che sia Ucraina che Russia spostino alcuni uomini in altri settori dove potrebbero svolgersi le prossime operazioni.

    Nel corso del conflitto, altre dighe sono state fatte saltare, come quella sul fiume Oskil, distrutta dai russi durante le operazioni nel Donbass lo scorso luglio, o quella di Kryvy Ryi, colpita da un missile russo a settembre. Le conseguenti inondazioni erano tutte stata di portata minore rispetto a quella causata dalla distruzione della diga di Kakhovka, situata su un fiume particolarmente lungo e dalla portata idrica notevole come il Dniepr. La diga di Kakhovka e la sua stabilità erano già state al centro del dibattito proprio per via del suo valore strategico importante: alla fine del 2022 la diga era stata colpita da un HIMARS ucraino e i russi avevano danneggiato la struttura mentre si ritiravano da Kherson.

    La diga di Kakhovka è stata costruita negli anni Cinquanta e ultimata nel 1956 per generare energia idroelettrica e per creare un ampio bacino idrico che potesse funzionare per l’approvvigionamento e l’agricoltura.

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