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    La tribù che sussurra all’oceano

    I Moken sono una tribù di circa 4mila persone che vive a stretto contatto con la natura, tanto da riuscire a prevedere lo tsunami del 2004 in Thailandia

    Di Jessica Cimino
    Pubblicato il 2 Mag. 2015 alle 10:43 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:31

    Hook è un giovane nomade che appartiene alla tribù dei Moken. Il ragazzo vive nel parco nazionale di Mo Ku Surin, un gruppo di isole situate a sud della Thailandia.

    Noti anche come “i nomadi del mare”, i Moken vivono talmente in simbiosi con l’oceano tanto da imparare a nuotare prima ancora di saper camminare sulla terraferma. Sott’acqua, hanno il doppio della visibilità rispetto a un normale nuotatore e, con un solo respiro, possono arrivare a una profondità di venti metri. Si contano circa 4mila Moken esistenti, di cui solo mille vivono lungo le coste della Thailandia.

    Per molto tempo la loro esistenza è passata del tutto inosservata. Almeno fino al 2004, quando lo tsunami si è abbattuto sulle coste dell’Oceano Indiano, causando la morte di più di 230mila thailandesi. Grazie alla loro profonda conoscenza del mare, i Moken sono stati in grado di prevedere l’arrivo dell’onda anomala e di mettersi in salvo prima che radesse al suolo le loro abitazioni.

    Quel giorno Ngoei, il fratello di Hook, era vicino alla spiaggia. All’improvviso, il ragazzo si accorse che la marea si stava abbassando velocemente, i pesci stavano affiorando sulla superficie del mare e le barche rimanevano intrappolate nella sabbia. Decise quindi di tornare verso casa per riportare quanto visto ai saggi anziani del villaggio.

    Ascoltando il suo racconto, il capo tribù Salam comprese che l’isola stava per essere sommersa da un’onda che nella lingua parlata dai Moken prende il nome di laboon. Secondo l’Animismo, culto praticato dai Moken, si tratterebbe di una forza devastatrice inviata dagli spiriti ancestrali per liberare l’uomo dai mali del mondo. In base alla leggenda, laboon si sarebbe, prima del 2004, già abbattuta sulla terra, distruggendo ogni forma vivente, a eccezione dei Moken appunto, destinati a sopravvivere per ripopolare nuovamente il pianeta.

    Anche la famiglia di Ngoei credeva nell’esistenza di laboon, e per questo decise di abbandonare la propria casa prima che la forza dell’onda demolisse l’abitazione e il resto delle costruzioni circostanti.

    A conferma della leggenda, dieci anni fa i Moken sono sopravvissuti indenni all’arrivo dello tsunami. Ora, a mettere in discussione la loro esistenza non è una nuova catastrofe naturale, bensì l’azione dell’uomo.

    Il governo thailandese infatti, intende sradicare la tribù dall’isola di Mo Ku Surin in cui oggi vivono, e spostarla in modo permanente sulla terraferma; in caso di rifiuto della proposta, i Moken non potranno beneficiare di alcun sostegno da parte delle autorità statali. In qualità di capo, Salam si è rimesso al volere della sua tribù: la risposta unanime è stata quella di non abbandonare l’isola, considerata l’unica casa in cui sia possibile vivere.

    I Moken si sono sempre rivelati un popolo autosufficiente. La loro cultura non contempla il desiderio di accumulare denaro o beni materiali: nel corso dei secoli, si sono spostati sulle coste grazie alle kabang, delle imbarcazioni all’interno delle quali si svolgono tutte le attività quotidiane, rappresentando al contempo una casa, un rifugio e uno strumento di lavoro, a seconda delle circostanze.

    Sebbene alcuni membri della tribù conducano ancora un’esistenza nomade tra terra e mare, la maggioranza degli indigeni sta gradualmente abbandonando lo stile di vita che li contraddistingue, sotto la pressione del governo centrale.

    La loro alternativa sarebbe quella di attraversare il confine e raggiungere la Birmania; tuttavia, la possibilità di migrare è stata esclusa dalle autorità thailandesi. I Moken infatti, in quanto popolo nomade, non potrebbero lasciare il Paese senza correre il rischio di essere arrestati, poiché sprovvisti dei documenti d’identità.

    Dopo il disastro del 2004, le autorità del parco nazionale di Mo Ku Surin, hanno ricostruito nella baia di Au Bon Yai parte dei villaggi distrutti dallo tsunami. Per i Moken però, riprodurre l’ambiente originario nel rispetto delle loro tradizioni sembrerebbe essere impossibile. Da sempre infatti, le case della tribù vengono costruite su palafitte immerse nell’acqua: questa scelta ha una forte valenza simbolica, in quanto permette loro di continuare a vivere tra la terraferma e l’oceano.

    La paura delle autorità thailandesi dell’arrivo di un altro tsunami ha invece finito col sopraffare il desiderio dei Moken di riportare il loro habitat allo stato originario. Le nuove capanne infatti, sono stata situate lontano dalla spiaggia, al limite con la giungla.

    Già a partire dagli anni Ottanta, i Moken hanno dovuto accettare la convivenza con i membri dello staff del parco nazionale che, una volta insediatisi nell’isola, cominciarono a costruire nelle aree che la tribù indigena aveva riservato alla sepoltura. Questo costrinse i Moken a spostarsi da una zona all’altra, e gli impedì di continuare a commerciare il pesce oltre che di utilizzare il legname per la produzione delle kabangs.

    Il risultato è che tali interventi, insieme alle misure che hanno seguito l’arrivo dello tsunami, stanno lentamente erodendo la cultura Moken. Ngoei guarda oggi con apprensione allo squilibrio creato nella vita della sua tribù. Ogni giorno osserva dalla riva i pescherecci invadere le acque del parco nazionale, senza alcun riguardo per la fauna marina locale, quando invece il suo popolo rischia l’arresto anche solo per la cattura di un solo pesce.

    Nonostante le difficoltà affrontate da questa tribù pur di rivendicare il diritto a preservare le proprie usanze, il mondo non ha potuto ignorare quanto è emerso in occasione dello tsunami: l’incredibile conoscenza che i Moken hanno sviluppato rispetto ai mutamenti della natura, e in particolare la loro perspicacia per i cambiamenti dei flussi oceanici. Laboon è una credenza connessa a un culto religioso, ma le leggende legate al fenomeno hanno salvato un’intera tribù da una morte certa, sfidando la presunta superiorità delle testimonianze scientifiche scritte, rispetto alle tradizioni orali tramandate nei millenni.

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