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    “Ci dicevano di andare con loro, che ci avrebbero salvate”: parlano le studentesse nigeriane sfuggite all’attacco di Boko Haram

    Hassana Mohammed, 13 anni, di fronte a casa sua dopo essere riuscita a scappare dalla scuola scavalcando un cancello. Aminu Abubakar/AFP

    Ancora nessuna notizia delle 110 ragazze scomparse dal Government Girls Science and Technical College di Dapchi, il cui rapimento è stato riconosciuto dal governo con una settimana di ritardo

    Di Noemi Valentini
    Pubblicato il 28 Feb. 2018 alle 19:06 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:44

    “Li ho visti con i miei occhi. Hanno bloccato i cancelli della scuola, quindi abbiamo cercato di scavalcare il recinto”. Sono le agitate parole di una delle studentesse riuscite a scappare dal Government Girls Science and Technical College di Dapchi, nel nord-est della Nigeria, preso d’assedio dal gruppo terroristico Boko Haram.

    Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come

    Lunedì 19 febbraio 2018 circa 110 studentesse sono infatti state rapite dalla scuola, situata nello stato di Yobe, ma la grande confusione istituzionale e mediatica che ne è seguita rende impossibile ottenere dati precisi.

    Inizialmente, infatti, le autorità nigeriane avevano dichiarato che tutte le studentesse erano riuscite a fuggire, per poi dare la falsa notizia, smentita in seguito, del salvataggio di 76 delle ragazze rapite.

    I genitori avevano stilato una lista coi nomi di tutte le studentesse di cui non si avevano più notizie, riconosciuta poi dal governo.

    Tra i nomi c’è quello di Aisha Bukar, figlia quattordicenne di Kachalla Bukar. Il padre, distrutto, ha raccontato alla CNN:

    “Non riusciamo ad ottenere informazioni dalla scuola perché è piena di soldati. Nessuna forza di sicurezza era presente a Dapchi nel giorno in cui sono arrivati i rapitori, ora più di cento soldati hanno preso il controllo del villaggio”.

    Al momento dell’attacco, infatti, la scuola di Dapchi non era presidiata da alcun agente di sicurezza, e anche i soldati che sorvegliavano i checkpoint vicino alla città erano stati rimossi dalle postazioni un giorno prima.

    “Non ho dormito neanche cinque minuti dall’attacco di lunedì. Non riesco a mangiare o a concentrarmi. Il governo dovrebbe solo tirare fuori le nostre ragazze”.

    Qualcuna, però, è riuscita fuggire: “C’erano tre auto al cancello, e ci hanno chiesto di salire, dicendo che ci avrebbero aiutato. Alcune di noi sono salite, altre hanno rifiutato. Gli uomini armati sparavano al cancello e in aria” racconta alla BBC una delle sopravvissute.

    La ragazzina ha tentato invano di scavalcare il recinto, ma è caduta, ferendosi al braccio. A quel punto è tornata correndo verso la scuola, per poi dirigersi ad ovest verso un’altra città.

    Quando ha raggiunto il padre, sconvolta, lui ha pensato che fosse stata morsa da un serpente. Poi ha capito.

    “Non importa che tipo di misure di sicurezza verranno adottate – spiega la ragazza – sinceramente non penso di poter mai tornare in questa scuola. Molte delle mie amiche sono scomparse”.

    Un’altra superstite è la tredicenne Hassanah Mohammed, che è riuscita a fuggire scavalcando il recinto.

    “Mi sono slogata una caviglia ma ho continuato a correre, tenendo la mano di mia sorella” racconta.

    “Abbiamo visto gli uomini armati di Boko Haram in uniforme militare, coi turbanti. Continuavano a chiamare le studentesse dicendo di andare da loro, che le avrebbero salvate.

    Non li abbiamo ascoltati e abbiamo continuato a correre. Io zoppicavo. Ho perso la mano di mia sorella nella confusione, sono riuscita a tornare a casa insieme a due mie compagne di classe ,ma mia sorella non è stata vista da allora. Penso che sia tra le ragazze rapite.”

    Adamu Alhaji-Deri, padre della quindicenne Ummi, ha visto i terroristi portare via le ragazze, senza sapere se tra loro ci fosse anche sua figlia, di cui non ha notizie.

    Il 19 febbraio 2018 si stava preparando per la preghiera del tramonto in una moschea, quando ha visto alcuni uomini armati sparare in aria, a bordo di furgoni.

    Quando sono arrivati alla moschea hanno smesso di sparare, dicendogli: “Niente panico, non siamo qui per te. Non ti faremo del male. Continua a pregare dentro la tua moschea”.

    “Quando mi sono passati a fianco, ho visto le ragazze. Sono le studentesse, mi sono detto. Io e mia moglie abbiamo pronunciato a ripetizione il nome della nostra figlia quindicenne, Ummi, chiedendoci se fosse tra le ragazze rapite”.

    Delle ragazze non si sa ancora nulla, e nel frattempo il presidente della Nigeria Muhammadu Buhari si è scusato su Twitter con le famiglie, definendo l’evento “un disastro nazionale” e informandole che numerose truppe e unità di sorveglianza aerea sono state dispiegate per cercare le studentesse sull’intero territorio.

     

    Leggi anche: Cosa sappiamo finora del rapimento di 100 ragazze nigeriane da parte di Boko Haram

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