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    Cosa ho imparato mentre ero in carcere per un crimine che non avevo commesso

    Teresa Njoroge durante il TED Talk women 2017.

    La cittadina keniota Teresa Njoroge è stata condannata ingiustamente a un anno di carcere. Da questa esperienza, è nata un'attività con cui punta a reinserire nella società le ex detenute. Il video:

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 14 Nov. 2017 alle 13:27 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:48

    “Quando ho sentito quelle sbarre chiudersi pesantemente, ho capito che era accaduto davvero”. Nel 2011 Teresa Njoroge, che lavorava nel settore bancario, è stata condannata nel suo paese d’origine, il Kenya, per un crimine finanziario che non aveva commesso e di cui era stata fraudolentemente accusata.

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    In un sistema giudiziario corrotto come quello kenyota, questo può bastare per finire dietro le sbarre della più grande struttura carceraria per donne del paese, la prigione femminile di massima sicurezza di Langata.

    “Mi sono sentita confusa, tradita, travolta, messa a tacere”, ha raccontato Njoroge in occasione dei TED-Talk dedicati alle donne, a novembre 2017. “Come possono mettermi qui, in un posto a cui non appartengo? Come possono commettere un errore così grande senza qualsivoglia ripercussione per le loro azioni?”, si è chiesta guardando i gruppi di donne intorno a lei e pensando alla carriera che amava e a cui avrebbe dovuto rinunciare.

    “Dopo aver saputo di essere indagata”, spiega Njoroge, “il momento peggiore è stato quando l’ufficiale che mi ha arrestata mi ha chiesto di pagare 10mila dollari statunitensi per insabbiare il caso”. Lei rifiutò, e per i due anni e mezzo successivi cercò di dimostrare la sua innocenza in tribunale. Intanto, la vicenda finiva sui giornali e alla televisione.

    Poi tornarono ancora una volta da lei, chiedendole stavolta 50mila dollari statunitensi, e promettendole che la sentenza sarebbe stata in suo favore (nonostante non esistesse alcun elemento a suo carico). Disse di no ancora una volta, e arrivò la condanna a un anno di prigione.

    Njoroge racconta di aver perso la sua dignità e umanità durante l’ispezione per l’ingresso in carcere. Il suo nome, durante la reclusione, non fu più Teresa Njoroge, ma 415/11. La donna ha una bambina piccola, che al momento dell’incarcerazione aveva appena tre mesi.

    Lei si rese presto conto che altre donne all’interno della prigione, come lei, erano state condannate in quanto capri espiatori per consentire ai veri colpevoli di sfuggire alle loro responsabilità, in quello che lei definisce “un sistema rotto, che abitualmente denigra i vulnerabili che non sono in grado di pagare le tangenti”.

    “Ascoltando le storie di queste quasi 700 donne, ho capito che non era il crimine a aver condotto lì la maggior parte di loro”, dice Njoroge. “Tutto era iniziato con il sistema educativo, il cui accesso e qualità non è uguale per tutti; la mancanza di opportunità economiche, che spingeva queste donne a piccoli crimini per la sopravvivenza; il sistema sanitario, quello di giustizia sociale, quello di giustizia penale”.

    Quando Njoroge ha scontato il suo anno nella prigione di massima sicurezza di Langata, sentiva la convinzione pressante di essere parte del processo di trasformazione contro le ingiustizie di cui era stata testimone. Per questo, dopo il suo rilascio, ha creato Clean Start, un’impresa sociale che prova a dare una seconda opportunità a queste donne.

    Clean Start aiuta le donne che si trovano nelle carceri, fornendo loro abilità e strumenti che possono cambiare la loro mentalità e comportamenti. L’impresa crea delle partnership con individui o organizzazioni per fornire a queste donne un impiego e una casa, e aiutarle a rientrare nella società.

    “Ogni volta che torno in prigione mi sento un po’ a casa”, dice Njoroge. “Ma quello che mi tiene sveglia la notte è il lavoro che c’è ancora da fare”.

    Tre anni dopo la sua scarcerazione, Njoroge è stata assolta in appello da tutte le accuse. “La mia storia è una sola, ma bisogna pensare ai milioni di persone che si trovano oggi in carcere e che sperano che noi riusciamo a fare bene il nostro lavoro, senza alcuna scusa”.

     

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