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    Tensione tra Belgrado e Pristina: cosa sta succedendo nei Balcani e chi c’è dietro

    Un nuovo fronte caldo nel cuore dell’Europa a sei mesi dall’invasione russa in Ucraina

    Di Roberto Sciarrone
    Pubblicato il 25 Ago. 2022 alle 15:04

    Un nuovo fronte, ancora una volta, nel cuore dell’Europa. La tensione tra la Serbia e il Kosovo – e le minacce di un intervento militare da parte del presidente serbo Aleksandar Vucic a difesa della minoranza serba dalle presunte discriminazioni di Pristina – si inserisce nel quadro ormai stabile di alleanze cristallizzatesi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dei tank russi.

    Sono trascorsi soltanto sei mesi da quel 24 febbraio, ma sembra molto di più. La guerra è diventata un’abitudine, nomi di città ucraine come Kharkiv, Bucha, Zaporizhzhia, Kramatorsk, Mariupol sono stati prima assimilati e poi quasi dimenticati sui bagnasciuga di una delle estati più calde di sempre. In tutti i sensi. Eppure esattamente sei mesi fa accadeva qualcosa di impensabile per la storia recente del nostro continente, i tank russi che cannoneggiavano sulle case delle città di un Paese europeo, l’attacco diretto contro Kiev, missili e i continui bombardamenti in nome della “denazificazione” celebrata da Putin in uno stadio pieno di bandiere e cittadini russi festanti. Facce, simboli e propaganda che ci hanno portato indietro di decenni, fino ai fantasmi di quella “Seconda guerra mondiale” che credevamo ormai sepolta in un passato lontano, mutato dalla velocità dell’era digitale. E’ invece no. E’ stata aggredita una democrazia che da anni cercava sempre più di legarsi a Bruxelles guardando a Ovest.

    Cosa sta succedendo adesso nei Balcani

    Il presidente Vucic, alleato di Vladimir Putin, ha dichiarato durante un discorso alla nazione “Salveremo il nostro popolo” esortando la Nato a fare “il proprio lavoro” nel proteggere e garantire la sicurezza della minoranza serba in Kosovo, Paese che ha ottenuto l’indipendenza proprio grazie a un intervento militare dell’Alleanza atlantica alla fine degli anni Novanta. Il presidente serbo parla poi di “persecuzione” dei serbi in Kosovo e della possibilità di trovare un compromesso da qui ai prossimi dieci giorni.

    La scintilla. Le relazioni da sempre pessime tra i due Paesi vicini sono peggiorate negli ultimi mesi dopo la decisione di Pristina di richiedere ai membri della minoranza serba di cambiare le targhe delle loro auto da quelle serbe a quelle kosovare. Così come la Serbia ha applicato una politica simile alla minoranza kosovara negli ultimi dieci anni.

    Già da alcune settimane la Nato – visti i segnali di tensione – aveva aumentato la sua presenza militare nella parte settentrionale del Kosovo. A rendere il clima incandescente è, naturalmente, il coinvolgimento della Russia, alleata storica di Belgrado.

    L’indipendenza della Repubblica del Kosovo (17 febbraio 2008), ricordiamo, non è stata riconosciuta da cinque Paesi membri dell’Unione europea: Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna. Inoltre soltanto la metà degli Stati membri dell’ONU ha riconosciuto l’indipendenza a Pristina con la forte opposizione di Russia e Cina all’interno del Consiglio di Sicurezza. Una situazione complessa e mai davvero risolta. Belgrado, di fatto, rivendica l’intero territorio come parte integrante dello Stato serbo.

    Il premier kosovaro Albin Kurti non si nasconde e già due settimane fa aveva dichiarato a Repubblica: “Rischiamo la guerra. Dietro la Serbia c’è Putin”. Dall’agosto del 2001 la Serbia ha installato intorno al Kosovo 48 basi operative avanzate, 28 dell’esercito e 20 della gendarmeria. Intanto, l’entrata in vigore dei provvedimenti legati alle targhe è stato posticipato al primo settembre, c’è ancora margine per soffocare un nuovo fronte di guerra. 

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