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    Chi era Robert Mugabe, l’ex presidente dello Zimbabwe che si paragonava a Gesù e a Hitler

    Credit: Afp

    Mubabe è morto a 95 anni. Dopo quasi 40 anni ininterrotti di potere, Robert Mugabe nel 2017 fu destituito dall'esercito dello Zimbabwe. La storia di un leader controverso

    Di Giuseppe Loris Ienco
    Pubblicato il 16 Nov. 2017 alle 15:36 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 11:21

    Il 6 settembre 2019 è morto Robert Mugabe, l’ex dittatore dello Zimbabwe, che ha governato il paese per quasi 30 anni. Aveva 95 anni e si è spento a Singapore, dove si trovava per cure mediche.

    I funerali

    Si terranno sabato 14 settembre i funerali dell’ex padre-padrone dello Zimbabwe, Robert Mugabe, mentre scoppia la lite tra i familiari e i membri del partito di governo Zanu-Pf, sul luogo in cui sarà sepolto.

    Secondo quanto riferiscono i media locali, un comunicato del governo fa sapere che i funerali si terranno sabato all’Harare National Sports stadium, ma non indica nessun luogo per la sepoltura prevista il giorno dopo. Il partito vorrebbe che Mugabe riposasse nel cimitero per gli eroi della guerra di liberazione che si trova nella capitale, ‘Heroes Acre’.

    La famiglia insiste invece sulla sepoltura nel villaggio rurale del distretto di Zvimba, a 100 chilometri a nordovest di Harare. Intanto, una delegazione composta da parenti e autorità del governo dello Zimbabwe, è partita per Singapore, dove l’ex dittatore è morto in una clinica di lusso, per riportare la salma in patria. Il rientro è atteso per mercoledì: la salma sarà portata prima nel villaggio di Zvimba per una veglia.

    La lotta per l’indipendenza

    Nato nel 1924, Mugabe cominciò la sua carriera politica poco prima dei 30 anni, tra il 1950 e il 1952, quando frequentò l’Università di Fort Hare in Sudafrica, famosa per aver fatto da culla ad alcuni dei leader africani più importanti del secolo scorso, tra i quali Nelson Mandela.

    Nell’istituto che prende il nome da una fortificazione costruita dai britannici nel 1835, Mugabe cominciò ad avvicinarsi all’ideologia marxista-leninista e a esercitare un ruolo attivo nei movimenti di protesta del paese, all’epoca ancora noto come Rhodesia.

    Prima dell’indipendenza ufficiale del 1980, lo Zimbabwe era una colonia britannica governata dalla minoranza bianca, composta in prevalenza dai discendenti dei cittadini europei che, nel tardo Ottocento, si erano stabiliti nella regione, sottraendo ampi tratti di territorio alla popolazione locale.

    Nella seconda metà del Novecento, il nazionalismo africano cominciò a crescere e imporsi in tutto il continente; un segnale di preoccupazione per i bianchi della Rhodesia che, per correre ai ripari, nel 1965 decisero di dichiarare l’indipendenza dal Regno Unito, mai riconosciuta a livello internazionale.

    Il primo ministro Ian Smith, il “primo governatore coloniale a rompere con la Corona” secondo la studiosa Samantha Power, instaurò un regime molto simile a quello dell’apartheid sudafricano, con la maggioranza della popolazione nera lasciata ai margini della società. Un’impostazione statale che ben presto portò all’aumento delle tensioni con gli attivisti neri e allo scoppio di una vera e propria guerra civile, di cui Robert Mugabe, arrestato nel 1964 e condannato a 10 anni di prigione, divenne ben presto una delle figure di spicco.

    Grazie all’intervento dei diplomatici britannici, nel 1979 le due parti belligeranti firmarono un cessate il fuoco con il quale si stabilì l’avvio di un processo di transizione che l’anno successivo avrebbe portato all’indipendenza del nuovo Zimbabwe. Negli scontri degli anni precedenti avevano perso la vita ben 27mila persone.

    L’ascesa al potere

    Nell’aprile 1980 Robert Mugabe fu eletto primo ministro. Inizialmente, il leader dell’Unione nazionale africana Zimbabwe (ZANU) tentò la via del dialogo con i suoi vecchi avversari politici; ben presto, però, le cose cambiarono. Tra il 1982 e il 1986 il governo di Mugabe legittimò il massacro perpetrato dalla Quinta brigata dell’esercito, i cui membri erano stati addestrati da istruttori nordcoreani, nei confronti della popolazione di etnia Ndebele nel Matabelend, regione natale di uno dei leader dell’indipendenza dello Zimbabwe e rivale di Mugabe, Joshua Nkomo. Molti anni dopo, le ricerche condotte dalla Commissione cattolica di pace e giustizia stabilirono una stima delle persone uccise: più di 20mila vittime, un vero e proprio genocidio.

    Nel corso degli anni Ottanta, Mugabe riuscì a consolidare la sua leadership migliorando nettamente il sistema scolastico nazionale – il tasso di alfabetizzazione in Zimbabwe è tuttora il più alto di tutto il continente africano – e promettendo la redistribuzione delle ricchezze sottratte ai latifondisti bianchi dai soldati che avevano combattuto nella guerra civile. La maggior parte di queste, però, andò in realtà ai suoi più stretti alleati politici: una mossa che rese sempre meno popolare Mugabe, il quale riuscì tuttavia a mantenere il potere perseguitando i suoi oppositori e truccando i risultati delle elezioni.

    Mugabe presidente

    Allo scadere del suo mandato da primo ministro, nel 1987 Robert Mugabe divenne presidente dello Zimbabwe. Una carica confermata nelle successive tornate elettorale, buona parte delle quali viziate da brogli e intimidazioni: nel 2008, le forze di sicurezza a lui fedeli picchiarono o uccisero migliaia di oppositori, fino a costringere il suo principale rivale, Morgan Tsvangirai, a ritirarsi dalla corsa.

    Tsvangirai fu poi integrato nel governo a seguito delle forti pressioni esercitate dalla comunità internazionale, che non ha mai nascosto le proprie riserve nei confronti di quello che, fino a pochi giorni fa, era il leader politico più anziano del mondo: bandito da Unione europea e Stati Uniti, Mugabe aveva tra i suoi pochi interlocutori stranieri il Vaticano, che ha visitato in occasione dei funerali e della cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II.

    Negli ultimi anni il supporto alle aspirazioni politiche della moglie ed ex segretaria Grace Marufu, dalla quale ha avuto tre figli, ha progressivamente allontanato Mugabe dai suoi vecchi compagni dei tempi della guerra civile. Tra questi c’è anche il suo ex vice Emmerson Mnangagwa, estromesso pochi giorni prima il golpe. Nonostante la popolarità in picchiata e l’ascesa della consorte, il cui movimento Generation 40 ha molto seguito tra i più giovani in Zimbabwe, Mugabe aveva già annunciato la volontà di candidarsi alle elezioni dell’anno prossimo. In caso di vittoria, sarebbe rimasto presidente fino alla soglia dei 100 anni.

    Un leader controverso

    Robert Mugabe non è solo un leader discusso, ma anche un comunicatore controverso: in decenni di potere ha accumulato dichiarazioni shock e atteggiamenti lontani anni luce dal politicamente corretto.

    Ha definito gli omosessuali “peggio di cani e maiali” e ha detto che gli unici bianchi degni di fiducia “sono quelli morti”; si è paragonato a Gesù Cristo (“Sono morto molte volte: così ho battuto Cristo. Cristo è morto e risorto solo una volta”) e a Adolf Hitler (“Sono ancora l’Hitler di questi tempi. Questo Hitler ha un solo obiettivo: giustizia per la sua gente, indipendenza per la sua gente e la difesa dei loro diritti sopra le ricchezze. Se questo significa essere Hitler, allora io sono dieci volte Hitler”).

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